Figli d’arte e stelline: promesse mantenute?

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Quando nel 1977 nacque Franziska, nelle stanze occulte della Stasi, la famigerata polizia segreta della Germania Est, non si badò troppo a violare il protocollo stappando bottiglie di champagne, un simbolo della corrotta civiltà capitalista. Il matrimonio tra Roland Matthes, il più forte dorsista della storia e Kornelia Ender, la ragazza prodigio dello stile libero all’Olimpiade di Montreal, che i funzionari del partito comunista avevano, per così dire, «caldeggiato», produceva finalmente il frutto desiderato, una bambina geneticamente perfetta che avrebbe dominato in vasca come già c’erano riusciti i genitori.

E invece quel presunto prodigio del Dna, messa in acqua, si rivelò una schiappa totale ed oggi fa il medico, ben lontana dai riflettori e dalle piscine. Il caso di Franziska Matthes è l’emblema della ricerca, spinta oltre ogni limite etico e di buon senso, del talento sportivo fin dalla culla. Un fenomeno che nell’epoca dei social network, dei blog, di Youtube che ti sbatte in faccia in ogni momento le prodezze delle baby star, spesso con la nefasta complicità di mamma e papà, subisce un’amplificazione e una globalizzazione incontrollabili. Ne è rimasto vittima, suo malgrado, perfino Lebron James, che sulla precocità ha costruito una carriera leggendaria.

Ovviamente, in molti devono aver pensato che il figlio Lebron Jr., 10 anni, abbia ereditato i cromosomi del padre e si sono già mossi per reclutarlo all’università, che eventualmente comincerebbe a frequentare nel 2023… Anzi, il coach di basket di Ohio State, Thad Matta, ha candidamente ammesso di avergli messo gli occhi addosso, estasiato come milioni di altri utenti dai video dei suoi canestri scolastici che circolano in rete. Ma il Prescelto non l’ha presa bene: «Lasciatelo tranquillo, lasciategli vivere quell’infanzia che io non ho mai avuto. Mio figlio ama il basket, ma gli piacciono anche i videogame e i compiti a casa lasciategli godere i suoi 10 anni. Trovo sia contro la legge permettere che vengano contattati anche i bambini». L’esasperazione del business sta bruciando la gioventù e le speranze di migliaia di piccoli atleti in tutto il mondo. Una ricerca svizzera ha dimostrato, negli anni passati, che su 600 calciatori africani ingaggiati in Europa da ragazzini, solo il 13 per cento ha ottenuto un contratto professionistico. Il Barcellona, che pure ha stravinto la scommessa con Leo Messi, portato in Catalogna a 12 anni, recentemente è stato punito dalla Fifa per la gestione poco limpida nella compravendita di minorenni. Nel calcio, l’elenco delle presunte stelline inghiottite nel magma di aspettative troppo grandi riempirebbe probabilmente un museo. Freddy Adu, ghanese classe 1989 emigrato negli Usa a otto anni grazie a un biglietto della lotteria che metteva a disposizione una green card, solo sei anni dopo si meritò il soprannome di «Nuovo Pelé» e ottene dalla Nike un contratto da un milione di dollari. Dopo l’ultima fallimentare esperienza in Serbia nel 2014 (14 minuti giocati nello Jagodina), oggi si barcamena facendo ospitate nei locali notturni di Washington.

In Italia, tralasciando il caso più famoso, quello di Diego Jr., figlio illegittimo di Maradona e di Cristiana Sinagra, quanti si ricordano ancora del giro di campo che il Torino, prima di una gara di campionato con la Cremonese, offrì in pasto a Vincenzo Sarno, appena acquistato in settimana per 120 milioni? Era il 1999, lui era un bambino di 11 anni che sognava di imitare Del Piero e aveva perfino palleggiato davanti a Vespa nello studio di «Porta a Porta». In Piemonte rimase tre mesi, la serie A non l’ha mai conosciuta e si è regalato un’onesta carriera tra B (poca) e Lega Pro. E i suoi 11 anni di gloria non sono più neppure un record: la Roma ha acquistato dall’Anderlecht Pietro Tomaselli, che di anni ne ha solo nove, sperando possa ripetere le magie contro i coetanei viste su Youtube anche quando sarà grande. Tutto il mondo è paese, comunque: nel 1985 la Svezia, ancora traumatizzata dal ritiro di Borg, si coccolava il quattordicenne Nicklas Kulti e uno sponsor lo riempiva di milioni (almeno 400) in attesa di essere ricompensato dai risultati che certo non avrebbe fatto mancare. E invece è stato solamente un ottimo giocatore, arrivato al 32° posto della classifica Atp, ma comunque ben lontano dagli standard attesi. Anzi, una volta abbandonata la racchetta, Nicklas confidò che quel contratto e quelle pressioni finirono per distruggerne l’autostima una volta approdato nel tennis che contava davvero. Negli Stati Uniti, invece, il sito Rivals.com si è specializzato nella valutazione di tutti i prospetti di 16/17 anni che possono interessare i college (ma anche i professionisti) in tutti gli sport. Solo che adesso si è spinto un po’ troppo oltre, finendo per ospitare il profilo di Daron Bryden, 12 anni, che sul suo blog (sì, ne ha già uno..) si definisce molto semplicemente il nuovo Tom Brady, il quarteback dei Patriots freschi vincitori del Super Bowl. Papà Craig è entusiasta: «I sistemi di reclutamento sono cambiati, adesso puoi valutare un talento fin da giovanissimo. Io e mia moglie dobbiamo fare di tutto perché realizzi il suo sogno». Fermateli, prima che sia troppo tardi.