DIFFAMATO DI MATTEO: CONDANNATI SGARBI E SALLUSTI

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Condannati, per i reati di diffamazione e omesso controllo, rispettivamente Vittorio Sgarbi, critico d’arte e autore dell’articolo incriminato e Alessandro Sallusti, all’epoca dei fatti direttore de “Il Giornale”. La vicenda inizia nel 2014, quando Sgarbi decide di mettere al rogo, in un suo articolo, il pm Antonino Di Matteo, da sempre in prima linea contro la mafia, occupatosi delle indagini sulle stragi di via Pipitone dove perse la vita Rocco Chinnici, Capaci dove perse la vita Giovanni Falcone, via D’Amelio dove perse la vita Paolo Borsellino e sull’omicidio del giudice Antonino Saetta; inoltre è Pubblico Ministero nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Oggi il Tribunale di Monza ha condannato Sgarbi a 6 mesi e Sallusti a 4 mesi, concedendo la sospensione della pena ma riconoscendo a Di Matteo una provvisionale di 40mila euro. Ricostruiamo i fatti. L’articolo prende spunto dalle divulgazioni delle intercettazioni di Salvatore Riina dal carcere, nelle quali minacciava chiaramente di morte il pm Di Matteo, augurandogli la stessa fine di Falcone. Il titolo dell’articolo era: “Quando la mafia si combatte solo a parole”, il seguito ancora peggio.

“Riina non è, se non nelle intenzioni, nemico di Di Matteo. Nei fatti è suo complice. Ne garantisce il peso e la considerazione”. E ancora: “C’è qualcosa di inquietante nella vocazione al martirio (del magistrato ndr)” e “gli unici complici che ha Riina sono i magistrati”. Queste le parole di Sgarbi. Non sono sicura se attribuire all’autore la qualifica di “coraggioso” o la qualifica di “inconsapevole”. Il primo aggettivo lo attribuisco al procuratore Di Matteo, che giorno dopo giorno si batte concretamente contro la delinquenza organizzata più terribile per rendere la vita migliore a tutti noi, Sgarbi compreso. Forse chi ha scritto queste cose era semplicemente inconsapevole, dinanzi alla vita sacrificata di un uomo con moglie e figli che sicuramente non cerca visibilità o considerazione mettendo a serio rischio se stesso e la sua famiglia. Avrebbe potuto fare altro per ottenere considerazione, non di certo mettere a processo i vari Riina, Bagarella, Brusca e compagnia bella. “Vocazione al martirio”? Beh, se per voler fare le cose in modo onesto e trasparente e assumersi la responsabilità degli arresti e delle richieste di “fine pena mai” ai boss più pericolosi, si deve essere accusati di  “vocazione al martirio”, mi chiedo allora quale e in cosa consisterebbe il lavoro del magistrato se non proprio in questo. Se non nel debellare la criminalità e ridare alla gente per bene un filo di speranza. “Quando la mafia si combatte solo a parole”, forse è da riferirsi a chi, con molta superficialità, butta fango addosso a gente che lavora per bene, CONCRETAMENTE, per ridare dignità all’Italia, per non rendere inutile il sacrificio di Falcone e Borsellino, Uomini che si caricano delle croci di tutti per estremo altruismo, per estremo SPIRITO DI SERVIZIO.

Federica Giovinco