Un conflitto familiare, l’uomo che comanda e la donna che subisce: l’amore morboso tra genitori e figli un movente primordiale

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Molte volte ci si domanda se mai si giungerà alla fine di codesta infelice storia. Un conflitto antico, il quale affonda le sue radici all’interno della famiglia intesa come clan. Quest’ultimo termine utilizzato per indicare uno o più gruppi di persone unite da parentela, in cui esistono delle regole precise di convivenza. Più precisamente dovremmo parlare di vere e proprie norme gerarchiche, le quali ancora oggi sono osservate in tanti luoghi del mondo. In molte tribù l’uomo detiene il comando e la donna e costretta a subire, in altre realtà è la donna che gestisce il clan mentre gli uomini hanno ruoli più marginali, in altre ancora invece la differenza fra uomo e donna rappresenta un problema quasi del tutto superato. Tuttavia anche nel nostro paese quando parliamo di parità e quote rosa un po’ ci riempiamo la bocca. Il cambiamento rispetto al passato c’è stato, ma solo nella forma: prima l’uomo era il maschio padrone e la donna una specie di oggetto, oggi se pur quest’ultima è riuscita ad affermarsi nella sua parità la mentalità non è tanto cambiata. Infatti, il problema è sempre l’incapacità dell’uomo a gestire l’abbandono e il rapporto col femminile. Tale disagio di gestione inizia dall’atto del concepimento e dal successivo complesso di Edipo mediante cui Freud spiega la maturazione del bambino attraverso l’identificazione col genitore del proprio sesso e il desiderio nei confronti del genitore del sesso opposto. Per il bambino maschio, che inconsciamente desidera la madre, il padre diventa il nemico rivale da sopprimere. In questo circuito psichico per il bambino maschio la madre diventa la sua conquista, il suo tutto, un oggetto appunto da sottomettere alle proprie necessità vitali e nello stesso tempo adorare fino alla sua morte, mentre il padre un soggetto da scacciare e sottomettere, in pratica un nemico. La condizione si ribalta completamente assumendo una forma speculare ma appunto rovesciata quando l’oggetto in questione è una bambina femmina. Mentre per quest’ultima il superamento dell’assoggettamento all’amore del padre si romperà probabilmente con la maturità e grazie alla prima maternità, il dimorfismo maschile per l’amore- sottomissione – possessione nei confronti della propria madre non si risolverà quasi mai. Ecco quindi da dove presumibilmente ha origine la figura dell’uomo -padre padrone, la quale non appartiene soltanto alla sfera delle tradizioni ma è intrinseca nella natura stessa dell’uomo. Il rischio infatti si corre quando si scivola nel morboso. Da un lato, la bambina femmina preferita dal papà, l’attaccamento ossessivo della figlia femmina per il padre maschio, e dall’altro, il bello di mamma e lo spasmo maschile di sottomissione della madre femmina. Da una parte la figura del padre eroe l’unico vero uomo capace di garantire protezione alla figlia femmina (moglie) per tutta la vita e fino alla morte e dall’altra la mamma e il figlio maschio, per il quale la scelta della donna per la vita avverrà soltanto quando quest’ultima assomiglierà alla propria madre, essa stessa, però, figura insostituibile, neanche dopo la morte. Oggi, gli atti di violenza degli uomini nei confronti delle donne sono in crescita e affrontare il problema non è facile, in quanto dalle suddette premesse l’origine della questione risiede nella natura umana e nell’organizzazione gerarchica del clan. Fino a quando esisteranno padri padroni, figli morbosamente succubi della loro stessa genesi, donne- mogli – compagne sottomesse alla mercé di uomini maschilisti e l’ignoranza beata imperverserà, grazie anche all’impronta negativa di una vecchia concezione ecclesiastica, a discapito di una più culturale consapevolezza della natura di tale problema, il fenomeno dei soprusi, delle violenze e delle donne morte ammazzate per mano di maschi dominanti,  non si arresterà mai.

20/07/2013                                                                                     Alberto De Luca