Senza il credito alle medie e piccole imprese non cambierà un bel niente

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La BCE taglia i tassi dello 0,25%, proclamando un nuovo minimo storico del costo del denaro. La notizia che ha fatto il giro del mondo ha provocato una momentanea fiammata in Borsa.

Quando cesseranno gli entusiasmi quali saranno gli effetti di un euro meno caro?

Una riflessione andrebbe fatta su una mera questione di principio, ripercorrendo la storia sin dall’Inizio.

L’euro nasce con una prerogativa precisa, cioè quella di essere una moneta “multinazionale”, dunque, molto più forte (almeno nelle previsioni) in un contesto economico globale. Con l’attuale decisione intrapresa dalla BCE di tagliare ulteriormente il costo del denaro l’euro in realtà perde molta della sua peculiarità. Tutto questo, in cambio di cosa?

La riduzione del costo del denaro, da quel che si afferma, dovrebbe essere un toccasana per la crescita economica, a patto che sia ben funzionante il motore produttivo, il quale attualmente per quanto riguarda l’Italia necessiterebbe urgentemente del credito alle imprese, quest’ultimo puntualmente negato, e solo in alcuni casi riconosciuto a fronte di tassi d’interessi spropositati e con particolari condizioni di garanzia.

Inoltre, un euro meno caro apporterebbe la riduzione degli interessi attivi  sui conti bancari (ossia quelli che le banche pagano ai loro correntisti, attualmente attestati intorno al 2 – 3%, i quali scenderebbero affermandosi a percentuali d’interessi veramente insignificanti).

Un altro aspetto importante in negativo riguarderebbe il presumibile rafforzamento del dollaro e automaticamente l’aumento dei prezzi di tutto ciò che è quotato in dollari (per esempio il petrolio).

Un “misero” aspetto positivo riguarderebbe, invece, i mutui di 100mila euro con un risparmio a famiglia che varierà (a seconda delle ipotetiche stime calcolate)  fra un minimo di 49 euro e un massimo di 160 euro all’anno.

Infine, come altro spunto favorevole, si potrebbe aggiungere anche il fatto che un euro più debole, rispetto alle altre valute, favorirebbe l’esportazione dell’Eurozona in quanto le sue merci costerebbero di meno. Se, però, in Italia le imprese che dovrebbero produrre (prodotti da immettere sul mercato) rischiano di chiudere poiché non hanno accesso più al credito e sono tartassate quotidianamente da imposte dirette e indirette, a cosa serve ridurre al minimo il costo del denaro? L’impressione è quella che non si stia lavorando per favorire gli interessi e l’economia di tutti i paesi appartenenti alla cosiddetta Eurozona, ma ancora una volta soltanto di alcuni.

07/11/2013 – Alberto De Luca