Le profonde radici di un fallimento

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Sono ormai passati alcuni giorni da quello che viene considerato da tutti il Fallimento con la effe maiuscola. L’Italia di Prandelli, vicecampione d’Europa, esce dai Mondiali già dopo la Prima Fase, a causa di una sciagurata sconfitta per 1-0 contro l’Uruguay. Molte sono le cause a cui è stata attribuita questa sconfitta: si comincia con l’arbitro, reo di aver espulso Marchisio (fallo che in Italia non verrebbe mai fischiato, ma che in Europa viene invece punito) fino al morso di Suarez, gesto che non gli costerà l’espulsione (siamo sicuri però che il gol subito non sarebbe stato messo a segno anche in 10 contro 10?). In realtà i motivi di questo fallimento sono ben altri.

L’Italia di Cesare Prandelli in questi quattro anni aveva seminato benissimo, dando l’immagine di un nuovo modo di fare calcio in Italia, basato non più sul catenaccio e contropiede, ma bensì sul possesso palla e sull’impostazione sempre e comunque. Questo cammino aveva portato ad un argento europeo e ad un bronzo alla Confederations Cup. Il Mondiale doveva essere la consacrazione di questa squadra ma invece è stata la sua morte, anche perchè l’Italia di Prandelli non esiste più, né come gruppo né come allenatore (dopo le sue dimissioni). Questi giorni hanno fatto capire quanto precario sia stato il clima all’interno dello spogliatoio, diviso tra i senatori e “le teste calde”, mai accettate dagli Azzurri più esperti. Arriviamo quindi alle dolenti note: Cassano e Balotelli. Mentre di Cassano si intuisce soltanto che non era ben voluto all’interno dello spogliatoio, quello che si sa su Balotelli è molto di più. Balotelli era proprio mal sopportato dal resto della squadra, e come dargli torto: dopo Italia-Inghilterra l’ex promessa azzurra ha riempito con la sua figurina la pagina dell’Italia nell’album dei Mondiali. Questo piccolo esempio rende l’idea su chi sia il personaggio Balotelli: un egocentrico incapace di giocare per la squadra e di mettere il bene del team davanti al suo. La partita contro l’Uruguay ha definitivamente fatto scendere il sipario sull’appellativo “Super” che accompagnava Mario, senza che mai abbia dimostrato di meritarlo. Non si può vivere di rendita per miliardi di anni per due bellissimi gol contro la Germania, sì decisivi e indimenticabili ma di certo non così importanti da determinare il destino di un giocatore. Purtroppo Balotelli ha dimostrato sempre di più nel corso degli anni il suo essere inaffidabile, soprattutto in quei momenti in cui la squadra avrebbe bisogno di lui. L’Italia si era affidata a lui e non è stata ripagata, ma inoltre è stata anche offesa con la sua cresta bionda, la Ferrari e la discoteca dopo l’eliminazione. Il tocco finale è stato il lungo tweet in cui ha messo in mezzo il razzismo come causa di tutte le polemiche ricevute. Mario non ha capito che in Italia, popolo che ama il calcio, un giocatore non viene esaltato o meno dalla massa per il colore della pelle. C’è chi è razzista ma questi individui stupidi non sono la massa. Un giocatore viene giudicato solo per il suo modo di giocare, per la sua bravura e il suo attaccamento alla causa. Un esempio: George Weah veniva apprezzato da tutti e temuto dagli avversari senza mai scadere nei “buuh” ecc. Nel caso di Balotelli invece si fischia il personaggio che non piace, che non viene sopportato perchè, con tutte le giustificazioni del caso per la sua infanzia difficile, è un personaggio che non si fa di certo amare. Prima di parlare di razzismo quindi, Mario dovrebbe chiedersi cosa fa per farsi volere bene ed apprezzare. Le risposte che troverà sono davvero poche, come sono pochi gli italiani disposti ad aspettarlo. Merita ancora la maglia della Nazionale, dove tra l’altro troverà uno spogliatoio che lo ha bocciato e criticato pubblicamente? Merita ancora l’amore dei tifosi del Milan, che hanno ricevuto tantissimi gol sì, ma anche altrettante giornate di squalifica? Merita ancora l’appellativo di Super per due soli gol decisivi segnati in carriera?

Attribuire la colpa solo a Balotelli è però sbagliato, poiché gran parte delle responsabilità devono ricadere anche su Prandelli, che ha sbagliato le convocazioni (Paletta al posto di Ranocchia, la mancata convocazione di una prima punta e, soprattutto, l’aver abbandonato Giuseppe Rossi i suoi errori più gravi), la preparazione e la scelta del ritiro. Un altro grave errore è stato quello di non essere riuscito a caricare a dovere la squadra contro la Costa Rica, vero simbolo dell’eliminazione italiana. Il continuo cambio di moduli non ha contribuito ad aiutare la squadra ma ha solo creato maggiore confusione.

Insieme alla Nazionale di calcio perde tutto il calcio italiano, che in questi giorni piange Ciro Esposito, tifoso del Napoli vittima degli incidenti pre-Finale di Coppa Italia. Forse la crisi in campo parte anche da questi eventi fuori dal rettangolo di gioco, perchè non è possibile che in Italia ci sia ancora una cultura sportiva che porta ragazzi a morire per un gioco. Forse questa triste Nazionale nasce proprio da questo triste modo di vivere il calcio, in cui bisogna prevalare a tutti i costi sugli avversari ed il tifo deve essere necessariamente violento. Ha commosso tantissimo la dichiarazione della madre di Ciro in cui affermava che non cerca assolutamente vendetta e che anzi si augura che nulla di tutto questo avvenga. La mamma di Ciro dovrebbe essere presa ad esempio perchè in un mondo che è diventato sempre più utilitaristico come il nostro, dove se subisci un torto devi obbligatoriamente farla pagare, perdonare forse è la scelta più coraggiosa e rivoluzionaria di tutte. Purtroppo però i prossimi Roma-Napoli saranno probabilmente delle guerriglie urbane e delle vendette violente, dando per l’ennesima volta un collegamento tra calcio e violenza che poco fa bene agli appassionati e a chi vive di calcio. Dovremmo cercare tutti insieme (visto che le istituzioni poco fanno a proposito) di porre fine a tutto questo, permettendo ognuno di noi di dar vita ad una nuova cultura sportiva, dove come si festeggia la vittoria bisogna accettare la sconfitta. In Inghilterra, luogo simbolo della furia Hooligans, la violenza è stata sconfitta: perchè in Italia no? Non c’è forse la volontà? E’ inspiegabile che dall’omicidio Spagnolo del 1995 ad oggi non sia cambiato nulla e che si possa ancora oggi morire di calcio.

Se non si comincia a risolvere per prima questa piaga sociale e calcistica non si potrà mai pensare di avere un calcio pulito e diverso, e di riflesso una Nazionale migliore. Le Nazionali sono molto spesso lo specchio del campionato che rappresentano e anche questa volta è stato così: i nostri tristi Azzurri hanno rappresentato un campionato che dal 2010 non vede una squadra vincere una Coppa europea e dallo stesso anno non vede una squadra almeno in semifinale di Champions. Un campionato dove il ranking sprofonda sempre più come il numero di spettatori allo stadio. Un campionato dove andare allo stadio è un atto di fede e dove le partite sono noiose.

Bisogna cambiare tutto questo innanzitutto se si vuole una Nazionale diversa. In attesa di conoscere il nome del nuovo Ct, riflettiamo su quanto si può cambiare anche nel nostro modo di tifare per dare una mano ad un movimento calcistico sempre più in crisi.