Il sistema calcistico tedesco

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Oggi Campioni del Mondo, ieri in crisi profonda. Siamo nel 1998, precisamente dopo il fallimento del Mondiale in Francia. I tedeschi decidono di avviare una riforma al loro settore giovanile e a progettarla è l’allora Ct Berti Vogts. In realtà, però, verrà applicata soltanto a partire dal 2000, dopo l’ennesimo fallimento in una competizione ufficilale (l’Europeo in Belgio e Olanda).

Il risultato di tutto ciò è che negli ultimi 14 anni i tedeschi hanno conquistato gli Europei Under 17 e 19, una finale di Champions tutta tedesca nel 2013 e, infine, il trionfo mondiale della scorsa Estate.

L’ispirazione a questo progetto arrivò dall’esempio di Francia 1998, Mondiale costruito e vinto proprio in casa. Il centro federale di Clairefontaine è stato a lungo il modello a cui si è ispirata mezza Europa: integrazione razziale, setaccio dei migliori talenti del Paese e delle ex colonie, costruzione tecnica e tattica dei calciatori. I tedeschi sono stati abili ad ampliare il concetto francese costruendo un’accademia federale centrale a Francoforte.

Primo passo di federcalcio e Lega: obbligare i club a investire sui settori giovanili che rispondano a determinati criteri. Chi non li segue, rischia persino la licenza. Fatto sta che in dieci anni, i club hanno investito quasi un miliardo di euro sul vivaio, 105 milioni soltanto nel 2013-14. Dal 2001, la DFB ha invece speso circa 300 milioni per i giovani.

Il risultato sono 366 centri federali di base distribuiti sul territorio. Qui vengono convogliati 22mila ragazzini tra gli 11 e i 14 anni, provenienti da non più di 40 chilometri di distanza (per evitare traumi da sradicamento) che vengono sottoposti a una seduta supplementare a settimana come completamento dell’attività che fanno nella loro squadra di appartenenza: allenamenti standardizzati basati su tecnica e tattica individuale. Non solo: vengono visionati ogni anno 600mila ragazzini. Di squadre e squadrette. Se c’è del talento, non sfugge ai radar.

Il passo successivo sono i 45 centri di eccellenza (i club di Bundesliga, Bundesliga 2, terza serie e leghe regionali), per lo sviluppo dei talenti più dotati dai 15 ai 18 anni. Senza trascurare l’istruzione: le “Elite-schulen”, le 35 scuole di elite, preparano un piano di studi che tenga conto degli impegni calcistici.

Anche sull’individuazione del talento la Germania ha cambiato passo. Meno fisico, più tecnica. “Nel 1982, Hummels avrebbe giocato da 10”, sottolineava Robin Dutt, ex d.s. della nazionale. Avete presente i piccoletti Götze e Özil o il magrolino Müller? Non proprio il prototipo del tedesco classico. E se conta chi gioca, conta pure di più chi insegna. Il numero di allenatori diplomati nel Paese è imponente: 28.400 hanno la licenza Uefa B (indispensabile per lavorare nelle accademie federali), 5.500 la licenza Uefa A, 1.070 la Pro Licence, il grado più alto. Questo perché allenare i giovani può essere un lavoro per tanti: la federcalcio impiega 1.300 tecnici settimanalmente per le accademie locali, altri 200 a tempo pieno nei centri di eccellenza.

Ecco la base da cui è nata la Germania campione del Mondo di ora.

Armando Zavaglia