Il lungo addio

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Per chi ama il calcio, e in particolare quello inglese, l’addio di Steven Gerrard al Liverpool dopo 16 anni di prima squadra e l’intera trafila delle giovanili è una vera e propria pugnalata al cuore.

Steven Gerrard ha rappresentato e rappresenterà nei suoi ultimi sei mesi rossi (anche se non è da escludere un ritorno invernale in stile Henry all’Arsenal) quello che è l’essenza del calcio per un tifoso: l’attaccamento alla maglia. Gerrard ha amato e amerà per sempre la maglia del Liverpool, nonostante il Liverpool gli ricordi la terribile strage di Hillsborough dove perse un cugino, quel Jon Paul che, come scritto nella sua biografia, è la sua principale fonte di energia in mezzo al campo. Poi i lunghi pomeriggi passati con il padre nella Kop, storica curva dei tifosi rossi, hanno fortificato questo immenso legame che nel 1998 vede la sua prima tappa importante: l’esordio in Premier League contro il Blackburn per merito del tecnico Houllier, colui che porterà il Liverpool a vincere ben tre trofei nel 2001. Il principale merito del tecnico francese però sarà un altro, cioè quello di forgiare il giovane Steven e affidargli la fascia da capitano che prima si trovava sul braccio di Sami Hyypia.

Per tanti giocatori la fascia di capitano è un onore, per Gerrard era però un peso indescrivibile: troppo forte il legame con la sua città, troppo grande per la sua età il peso di quella fascia. Ma sarà lo stesso Hyypia a dare la forza al giovane Steven con delle semplici frasi: “è sempre stata solo una questione di tempo perchè sei tu a significare qualcosa per questa città, non io”.

Queste parole fecero nascere il Gerrard capitano che tutti conosciamo, quello che ogni giorno dopo l’allenamento si ferma a guardare in macchina la città e si ripete in mente la frase “io sono il capitano del Liverpool”.

Gli anni più intensi e belli sono stati quelli successivi al tecnico francese: sarà infatti con Benitez che il Liverpool conquisterà l’Europa in quell’epica finale contro il Milan che simboleggia al meglio il carattere del Liverpool. You’ll never walk alone.

Di quella finale molti ricordano il gol dell’1-3, ma pochi ricordano un altro momento di quella gara: ultimi minuti del secondo tempo supplementare, Gerrard è a pezzi in balia dei crampi. Kakà sulla fascia però è indiavolato nonostante i cento e passa minuti giocati e prova a creare un’ultima occasione per i rossoneri. Il capitano rosso così trova chissà dove le forze per un ultimo tackle in scivolata, utile a fermare il brasiliano e portare i suoi alla vincente lotteria dei rigori.

Maldini e Gerrard, entrambi a segno in quella gara: due eroi simili per le loro tifoserie.

Il proseguo della carriera rossa di Gerrard vede la vittoria di una Supercoppa Europea, di una Fa Cup, di una Community Shield e di una Carling Cup ma sono tanti gli anni negativi, con la sua squadra priva di un’identità. Solo in due stagioni va effettivamente vicino alla tanto agognata Premier che rimarrà il suo titolo non vinto, neo in una carriera perfetta: il 2008/09 in cui il Liverpool arriverà secondo dietro il grande Manchester United campione d’Europa di Cristiano Ronaldo e il 2013/14, stagione terminata con l’incubo della caduta che portò alla sconfitta decisiva contro il Chelsea.

La scorsa estate chiesero a Steven Gerrard se la scivolata contro il Chelsea tornasse ogni notte a turbarne il sonno: “Me la sono scrollata di dosso molto in fretta perché un capitano non può permettersi di farsi vedere avvilito dai suoi compagni. Nello spogliatoio mi guardano. E io devo far loro coraggio, mica avvilirli con le mie miserie personali”. Non c’è giocatore che nel calcio moderno abbia interpretato il ruolo di capitano in un modo più nobile di lui, non a caso rispettato e amato anche dai tifosi avversari.

I numeri, comunque enormi, sono troppo riduttivi per un giocatore come lui: 696 presenze e 182 gol di cui 41 in Europa, 92 assist in Premier League, la fascia da capitano dall’ottobre 2003, 11 trofei, almeno una rete nelle finali di Champions League, Coppa Uefa, Coppa d’Inghilterra e Coppa di Lega.

A causare questa triste decisione sono stati in primis gli uomini americani della dirigenza reds (considerano ormai bollito il centrocampista inglese), ma la responsabilità è da attribuire anche a Rodgers, tecnico che nel mese di Novembre non ha certo tributato al meglio il suo capitano infliggendogli due panchine consecutive in gare importanti come Real Madrid al Bernabeu e Stoke in casa, gara giocata nell’anniversario dell’esordio di Steven in prima squadra. Quando lo stesso Rodgers ha chiesto a Gerrard di ritagliarsi uno spazio in squadra soltanto nei minuti finali la decisione è stata presa: l’approdo nel campionato statunitense sembra la scelta più scontata per il simbolo di una squadra e di una città.

Non ci resta che chiudere con queste parole, quelle della lettera che il numero 8 ha scritto ai suoi tifosi, in attesa di quel Liverpool-Cristal Palace chiuderà una storia bellissima:

Lasciare il Liverpool rappresenta la decisione più dura della mia vita.

Ho voluto annunciarlo ora per evitare che allenatore e squadra possano essere distratti da

questa vicenda. Il Liverpool è una parte importante della mia vita e per questa ragione non

giocherò in un club che possa essere avversario del mio passato.

Ringrazio Rodgers e la proprietà. Spero di poter tornare un giorno ed essere utile

al Liverpool. Posso garantire che fino all’ultimo tocco al pallone darò il massimo per il Liverpool.

Il mio ultimo messaggio è rivolto alle persone che fanno del Liverpool il club più grande al mondo. È stato un onore rappresentarvi”.

Armando Zavaglia