Il calciomercato, uno dei momenti più controversi e più attesi di ogni stagione calcistica. Ecco le dieci migliori storie del mercato italiano:
ROSETTA: Anno 1923, il calcio è dilettantismo e i calciatori non si comprano. La Pro Vercelli concede a Virginio Rosetta il trasferimento alla Juventus.
La Juve garantisce vitto e alloggio, l’immancabile Fiat e l’impiego da ragioniere in una ditta. In tutto, un migliaio di lire al mese, come nella canzone. Il Genoa ci resta male e protesta con il presidente federale, l’avvocato Bozzino. Problema: anche il presidente della Pro si chiama Bozzino e non è un omonimo. Caos. La Juve viene penalizzata e il trasferimento annullato. Rosetta sarà ufficialmente bianconero un anno dopo, per 50mila lire. È l’inizio del professionismo.
MEAZZA: Il comunicato più strano del secolo è del 1940: «Il presidente dell’Ambrosiana-Inter ed il commissario straordinario del Milano si sono incontrati per trattare la cessione del giocatore Giuseppe Meazza. L’accordo fu raggiunto in virtù del desiderio dell’Ambrosiana-Inter di giovare alle migliori affermazioni calcistiche cittadine». Meazza, figlio di una verduraia e di un soldato, aveva vinto due volte la Rimet con l’Italia e due campionati con l’Ambrosiana-Inter. Fumava due pacchetti e ballava il tango, sbagliava apposta per far abbassare la guardia ai difensori ma poco dopo svoltava e vinceva la partita. Nel 1940, l’Ambrosiana- Inter lo regalò al Milano per il bene della città. L’anno e i nomi italianizzati chiariscono: il fascismo gradiva l’operazione.
TORRICELLI: L’unico giocatore passato dall’Interregionale alla Juventus senza passare dal via. Moreno lavorava per il «Mobilificio Spinelli» di Inverigo e giocava con Folgore di Verano Brianza, Oggiono, Caratese. Gentile lo consigliò alla Juve che un giorno, senza difensori per le amichevoli, lo portò in spogliatoio. Andò così bene che Trapattoni convinse tutti a pagare 50 milioni e gli tolse i guanti da lavoro. Torricelli andò dal padrone e gli disse: «Vado alla Juve». E l’altro: «Fino là in fondo?». Credeva fosse la Juve Stabia.
SANTAMARIA: Il calcio dei pionieri ha fascino a partire dai nomi. Il top: Aristodemo Santamaria. Nel 1912, in pieno dilettantismo, Santamaria e Sardi passano dall’Andrea Doria al Genoa. Derbone di mercato. Sardi va a incassare l’assegno di 1.500 lire del presidente genoano Davidson ma trova un cassiere doriano. Un furbone. Il cassiere portò tutti in tribunale: non si poteva pagare per un calciatore.
ZOFF: Uomo tranquillo, storia pazzesca. Ore 23.58 del 15 luglio 1967, solo 120 secondi alla fine del mercato. Zoff è il portiere del Mantova ma Achille Lauro vuole portarlo al Napoli. A due minuti dal triplice fischio, Alberto Giovannini, giornalista, direttore del «Roma», chiama il Mantova. Imita la voce di Lauro e chiude l’acquisto di Zoff per 120 milioni. Tutto buono, tutto valido.
BUGATTI: Lauro del resto era un uomo così. Nel 1953 fece un’offerta su un pacchetto di sigarette. Propose 55 milioni alla Spal per il portiere Ottavio Bugatti firmando un pacchetto di Turmac, le sigarette turche. Mazza, presidente della Spal, andò in banca e la filiale, tranquilla, pagò. Tutto buono, tutto valido anche quella volta.
POGBA: La storia più moderna. L’Inter lo vede presto e Moratti ha l’occasione di prenderlo dallo United. Rifiuta per non pagare la commissione – alta, molto alta – a Raiola. Il Milan fa la stessa scelta e allora Paul finisce alla Juve. Oggi vale 100 milioni.
JEPPSON: Storico per la cifra: nel 1952 Hasse Jeppson passò dall’Atalanta al Napoli diventando il primo giocatore pagato oltre 100 milioni. Savoldi nel 1975 fece Bologna-Napoli per 2 miliardi, altra cifra simbolica. Storico per la capacità di fare business: sui 105 milioni (per altre fonti, 107), una trentina finirono direttamente al buon Hasse. Achille Lauro ha un ruolo anche in questa storia. Nella campagna elettorale per diventare sindaco di Napoli aveva promesso un acquisto super: eccolo. Il Guerin Sportivo scrisse «lauroni» invece di «milioni» e commentò: «Dove vogliamo arrivare?». Risposta dopo mezzo secolo: ai 100 milioni di euro per Bale. Mitico Jeppson, comunque: una volta chiese a Lauro di giocare un torneo di tennis e vinse contro un giocatore di Davis.
RIJKAARD: Braida questa l’ha raccontata mille volte. «Estate 1988, trattativa per Frank negli uffici dello Sporting Lisbona. La cerimonia della firma era trasmessa in diretta tv. A un certo punto, i tifosi portoghesi sfondano la porta ed entrano urlando. Io piego il contratto firmato e me lo infilo dentro i pantaloni. Nelle mutande, certo, e via da una porta secondaria». Rijkaard gli dedicò il gol nella finale di Coppa dei Campioni ed è ancora un simbolo della prima era berlusconiana. Tempi di acquisti ruspanti: si dice che, nella trattativa per Donadoni, Berlusconi ospitò i Bortolotti ad Arcore e li portò a vedere dal vivo «Drive In».
PLOEGER: Chiedi chi era Johannes Ploeger. Oppure Pløger, alla danese. Prima le certezze. Nel 1948 la Juve lo strappò al Milan con un accordo chiuso su un treno. Poi la versione più interessante. Non diffusa, forse vagamente romanzata, ma la più interessante. Il Milan mandò il segretario Gianotti a prendere il giocatore. Tornarono insieme in treno ma Gianotti si addormentò e in scena entrò un dirigente juventino, che in un altro scompartimento firmò con Ploeger. Gianni Agnelli, signorile, per risarcire lo sgarbo concesse al Milan di prendere un altro attaccante nordico: Nordahl. Gol in Serie A: Ploeger 17, Nordahl 225.