Sfogo di un’atleta non professionista

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Sfogo di un’atleta non professionista (di Alessandra Adamo)

(Dopo la partita di Villa san Giovanni)

E’ da quando avevo 6 anni,  quindi da ben 21 anni che pratico lo sport della pallavolo.

Ricordo il primo allenamento, gli esercizi di coordinazione motoria e di gioco nei primi anni, il minivolley poi, il superminivolley, tutti i campionati giovanili e poi i campionati di categoria, serie D, serie C nella mia città, la B2 a 50 minuti di auto da casa, 5 sere a settimana per 4 anni; gioie e delusioni, soddisfazioni e rimpianti, infortuni, momenti felici e meno felici sorretti sempre e solo dall’amore infinito per questo sport.

Ho passato interi pomeriggi in palestra con conseguenti serate e domeniche sui libri perché la pallavolo, mi ripeteva continuamente- e giustamente- mio padre, doveva rappresentare per me un hobby mentre, la scuola prima, l’università poi, e il lavoro oggi, costituivano e costituiscono la priorità, la vita vera.

Purtroppo di pallavolo non si può vivere, a stento si può se si gioca in serie A, correndo in ogni caso il rischio corrente di vedere saltare lo stipendio per qualche mese, e forse non recuperarlo più. E dunque per pura e sola passione, io -e come me tanti- sono in palestra 5 giorni su 7, non per uno stipendio che non è contemplato, non per la fama, non per la gloria, solo ed esclusivamente per passione smisurata per uno sport sano!

La squadra in cui attualmente milito è composta interamente da atlete autoctone,  che come me, prima ed oltre che giocare a pallavolo nella vita studiano, lavorano, vanno a scuola, frequentano il conservatorio, sono mamme, mogli, donne multitasking che, senza essere retribuite, la sera fanno i salti mortali per arrivare in orario all’allenamento, poi studiano la notte o il giorno libero tra il sabato e la domenica per l’esame, il concorso, l’interrogazione, il lavoro.  Rinunciano a weekend di vacanza perché c’è la partita da disputare, rinunciano ad andare a sciare per non correre il rischio di farsi male, rinunciano alla serata in discoteca o al bicchiere di birra in più il venerdì sera per arrivare concentrate alla partita del giorno dopo. Arrivano puntualmente tardi ad ogni cena o festa a cui sono invitate per non saltare l’allenamento, con i capelli in disordine e il trucco un po’ sbavato messo davanti lo specchio dello spogliatoio con la luce fioca ed in fretta; l’aperitivo per loro è tabù, a quell’ora sono sempre in palestra per l’allenamento. Piccoli sacrifici, certo, ma con un peso specifico non trascurabile nella vita quotidiana, fatti sempre e solo per passione.

Poi arriva il fine settimana, il giorno della partita, lo scopo degli allenamenti, dei sudori e dei sacrifici della settimana. A pranzo mentre tutti mangiano pasta al forno fritture vino e dolcetti fanno l’altro piccolo sacrificio della settimana, rinunciando alle leccornie per il pranzo dell’atleta: pasta al sugo o in bianco, petto di pollo insalatina e via.

 schiacciataRispettati i gesti scaramantici, cariche e anche un po’ nervose si parte per la trasferta e tutto quello che si chiede è di passare qualche ora di sano e divertente sport, confrontandosi con una squadra avversaria nel rispetto delle regole della pallavolo.

Ebbene potrà capitare che la squadra avversaria sia nettamente più forte o nettamente più debole,  e che la partita non sia mai in discussione ma, particolarmente nella serie C, categoria regionale in cui militiamo, e particolarmente in questa stagione, le partite in cui il divario è netto si riducono ad una manciata di gare, regnando altrimenti un equilibrio di valori bello e sano che permetterebbe, se non manipolato, un bel divertimento, per noi atlete, per le società, per i tifosi ed il pubblico in genere.

Invece,  dopo un viaggio di un’ora e mezza in condizioni meteo non ottimali, arrivi in una palestra omologata ma non omologabile; inizi la partita contro una squadra che sai che ti darà filo da torcere contro cui sai che sarà una lotta all’ultimo pallone, e cerchi di entrare nel vivo della competizione quando, dopo i primi scambi ti rendi conto che quella partita tutto sarà tranne che un sano e divertente confronto di quelli della serie “vinca il migliore” perché il migliore lo ha già deciso l’arbitro prima di cominciare. Parte la saga del fischietto: invasioni, doppie, falli di ogni tipo inventati da un arbitro protagonista mentre la squadra avversaria sembra perfetta, anche in presenza di falli evidenti, per quelle atlete il fischietto non si può scomodare.

Quello è il momento in cui inizi a protestare, ad imprecare ma non ricevi nemmeno un cartellino giallo, ed è lì che comprendi che quella partita non la vincerai mai. E’ vero che se fossi nettamente più forte nessun arbitro potrebbe condizionare l’esito dell’incontro, ma con grande umiltà sai che non sei nettamente più forte, che è una partita equilibrata, e in una partita equilibrata nello sport della pallavolo -che è uno sport di situazioni- il fischietto può fare la differenza!

Quando ti senti così impotente il nervosismo ti annebbia il cervello e così anche quando, nel terzo e quarto set, l’arbitro decide di aver fatto abbastanza per condizionare l’incontro ed inizia ad arbitrare normalmente, la mente non riesce più a reagire, sai che la classifica dopo la gara non sorriderà come avresti voluto, sai di essere vittima di un’ingiustizia e che con un arbitraggio NORMALE la partita sarebbe stata diversa; magari avresti perso lo stesso ma non per il fischietto, per tuo demerito o per merito dell’avversario.

Il ritorno nel pullmino è silenzioso, ci si sente svuotate, si prova rabbia per non essere riuscite a fare qualcosa di più per contrastare le volontà arbitrali; intanto sta per ricominciare una settimana di lavoro, di studio, di pensieri in cui tanti sono i fattori che condizioneranno le giornate e quello che fa tanta rabbia è che qualcuno abbia condizionato anche quel pomeriggio della settimana che dovrebbe essere sempre e solo un divertente momento di confronto sportivo, una piccola cosa tra le tante certamente più importanti della vita…  ma la vita in fondo è fatta di piccole cose, di piccole gioie e troppo spesso di grandi delusioni, e sarebbe auspicabile che almeno queste piccole cose, in un mondo che va a rotoli, venissero preservate.