La tradizione del maiale a Bisignano

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Nel periodo che segue le festività natalizie si vive ancora a Bisignano, anche se con un notevole calo rispetto al passato, l’antico rituale dell’uccisione del maiale. Un avvenimento che fino a poco tempo fa, una volta all’anno, si svolgeva in quasi tutte le famiglie bisignanesi al quale partecipavano tutti i parenti ed il vicinato. Una sorta di festa, forse cruenta, che per secoli ha segnato la vita dell’intera regione. 

L’ Allevamento

A Bisignano quasi tutti avevano il porcile (u “zimmunu”). Non solo nelle campagne ma anche chi abitava nel centro storico lo aveva, posto comunque fuori dal centro abitato. Al suo interno vi era “u scifu“, il trugolo dove l’animale si ciba di brodaglia ricavata per lo più dai rifiuti alimentari domestici o di “caniglia” ovvero della crusca, che rappresentava il pasto più importante che veniva servito al maiale. Ogni proprietario di maiale almeno una volta al giorno si recava al “zimmunu” per svuotare il secchio della “vrurata“.

Spesso i zimmuni venivano decorati con oggetti anti-malocchio che secondo la credenza popolare dovevano proteggere il maiale dall’occhio degli invidiosi: corna di bue, ferri di cavallo venivano esposti in bella vista nei nel porcile. Il maiale, accudito e governato per lunghi mesi, si ingrassava giorno dopo giorno ed era capace di far fronte all’intera economia alimentare della famiglia per un anno intero.

Il giorno dell’uccisione

L’uccisione del maiale è un vero e proprio rito, una festa e un’occasione di socializzazione. In passato, quando l’alimentazione delle famiglie si basava principalmente su ortaggi ed erbe selvatiche e quando l’approccio con la carne avveniva solo nel giorno di Natale, l’uccisione del maiale si caricava di enormi significati. Questo rito sopravvive ancora oggi come tradizione e motivo di aggregazione. 


Una serie di operazioni vengono svolte da almeno tre o quattro uomini, fin dalle prime luci dell’alba: chi prepara il pentolone con l’acqua bollente, chi lega il suino e chi affila il coltello per l’uccisione (‘u scannaturu). Ai più piccoli, in genere, viene assegnato il compito di stringere la coda: un operazione considerata inutile, tanto che quando si affida a qualcuno un compito senza alcuna responsabilità, si dice che “tiene la coda al porco”. 

Alle donne, invece, il compito di lavare gli intestini con limoni ed arance, nonchè di iniziare la preparazione del fegato, del cuore e del sanguinaccio.

Come già detto, l’uccisione del maiale era in passato una grande occasione di festa per la famiglia che invitava parenti, compari e vicini di casa per aiutare con la macellazione delle carni e la preparazione dei salumi. Per questo si preparava un sontuoso pasto a base di maccheroni al sugo di maiale. In questa occasione anticamente il padrone di casa faceva assaggiare diversi pezzi di carne agli ospiti ed ogni pezzo aveva un significato differente, ad esempio la coda del maiale si dava alle donne incinte per propiziare la nascita di un figlio maschio [fonte Wikipedia].

Preparazione dei salumi

L’operazione di macellazione e lavorazione delle carni del maiale durava due o tre giorni. Di solito il giorno successivo all’uccisione si preparano i salumi: salsiccie e sopressate. Ma non solo, perchè come sappiamo del maiale non si butta proprio niente. Si conservava il grasso, il lardo, la pancetta e le ossa spolpate. 

Nel mese di Gennaio, tradizionalmente legato al culto del maiale ancora oggi si producono a livello famigliare gustose prelibatezze, simbolo della gastronomia calabrese: Sùzu e scarafùagli; Frittuli; Sangue fritto; Sanguinaccio; Suffritto, corchiarelle.

Frittuli, Autore foto: Gino Larosa

Sono diversi anche i proverbi bisignanesi e i modi di dire che propongono al centro il maiale ed il suo sacrificio. Ne proponiamo alcuni:

“Chini si ‘nzura è cuntiantu nu juarnu. Chini ammazza u puarcu è cuntiantu n’annu”.
“Roppu si pùarci” 
“U puarcu abbuttu arruazzula ru scifu”
“N’uartu e nu puarcu resuscitanu nu muartu”