Bisignano revocherà la cittadinanza onoraria a Pietro Fumel

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Pietro Fumel, un errore storico a Bisignano farlo cittadino onorario

Da Nord a Sud, passando per città e piccoli paesi in tutta Italia, si moltiplicano le iniziative per revocare le cittadinanze onorarie e cambiare il nome ai luoghi pubblici alla memoria di chi guidò i massacri al Sud.

Fumel patriota da vergogna, non sarà più cittadino onorario di Bisignano

La Città di Bisignano, guidata dal sindaco Francesco Fucile, si appresta a revocare la cittadinanza onoraria al colonnello Pietro Fumel, conferita nel 1862.

Alcuni appassionati e studiosi di storia locale, già da diversi anni cercano di fare luce su questa pagina storica della nostra Città. Lo stesso sindaco di Bisignano, Francesco Fucile si era già interessato negli anni passati, proponendo alle precedenti amministrazioni la revoca della cittadinanza onoraria a Pietro Fumel. Il Sindaco ha informato che sarà convocato un apposito consiglio comunale e che per la revoca ha già preparato la necessaria documentazione, pronta da diversi anni, da quando lo stesso Fucile ne parlò con il compianto Rosario D’Alessandro.

Anche nel quinquennio 2001-2006 sulla vicenda intervenne l’ ex assessore alla Cultura, Vincenzo Alfano, che sottolineò come quello di Fumel fu un errore storico incredibile.

Prossimamente un volume storico

Riguardo a quel periodo storico ha avuto modo di esaminare documenti di archivi diversi anche Maurizio Benedetto, assistente parlamentare a Bruxelles, il quale, da appassionato di storia locale, sta conducendo delle ricerche per la redazione di un libro.

Secondo Benedetto i motivi a sostegno della revoca “potrebbero essere agevolmente rinvenuti negli abusi commessi e nelle misure repressive extralegali adottate da Fumel in più circostanze, di cui diversi autorevoli studiosi si sono già occupati. Nei primi anni dell’Unità d’Italia il territorio bisignanese, come il resto del meridione, è socialmente e politicamente in subbuglio. Le autorità locali dovettero fronteggiare manifestazioni popolari per la questione delle terre comunali, cospirazioni contro il nuovo Regno e brigantaggio.

Per la repressione di quest’ultimo – racconta Maurizio Benedetto – nel 1863 venne varata la famigerata legge “Pica”. Pur non essendoci notizie precise sul numero dei componenti, una banda bisignanese si era formata nel 1861. Il 22 dicembre dello stesso anno viene ucciso con uno scontro a fuoco Giovanni Russo Casacca. E’ il fratello del capo Vincenzo Russo, il cui nome spunta mesi prima insieme a quello di altri bisignanesi, compresi alcuni notabili, in un caso di indagine riguardante cospirazione ad oggetto di distruggere e cambiare il Governo, ma si rende irreperibile.

Dopo la morte di Giovanni Russo, alcuni componenti della banda che si costituirono, invece di essere processati dall’autorità giudiziaria, furono fucilati per ordine di Fumel il 28 dicembre 1861. Questa sorte toccò ad almeno quattro bisignanesi, i cui nomi sono contenuti in un documento del 25 giugno 1867 inviato dal sindaco di allora al Prefetto. Altre fonti fanno riferimento a un maggior numero di fucilati. Nel febbraio del 1862, a morire in circostanze poco chiare fu Vincenzo Russo. E’ facile immaginare la volontà di incutere terrore nella popolazione con questo modus operandi.”.

Il lavoro del nostro sito

Su Bisignano in Rete nel 2013 parlavamo della cittadinanza onoraria a Pietro Fumel, proponendo la revoca anche nel 2017, convinti che assumerebbe un valore altamente simbolico e che servirebbe da segnale per far si che la storia non venga dimenticata e che porterà alla conoscenza e allo studio dei reali fatti storici ancora oggi poco chiari e di cui si è taciuto per molto tempo.
Abbiamo quindi riportato a galla la vicenda in occasione delle celebrazioni dell’Unità d’Italia e dei 160 anni dalle fucilazioni avvenute a Bisignano per mano del maggiore Fumel. Da qui, l’interessamento anche da parte del gruppo politico “Riparti Bisignano” e la conferma, in questi giorni, da parte del sindaco di Bisignano sulla volontà di avviare la procedura.

Chi era Fumel e perchè ha la cittadinanza onoraria di Bisignano

Fumel era un piemontese inviato in Calabria per essere impegnato nella lotta al brigantaggio nel cosentino, dopo l’Unità d’Italia. C’è chi lo dipinge alla stregua di  uno spietato carnefice che usava i metodi più estremi per eliminare gli oppositori del malcontento popolare, senza distinzioni tra briganti e manutengoli o presunti tali ricorrendo alla tortura e al terrore. Avrebbe compiuto un vero massacro in tutto il cosentino, anche contro contadini, donne e bambini accusati di essere parenti di briganti. Le misure adottate sarebbero paragonabili a quelle che ottant’anni dopo vedranno i partigiani vittime dei criminali nazifascisti.  

E’ necessario raccontare come a Bisignano, nei mesi successivi all’Unità d’Italia, le autorità locali si trovarono a fronteggiare non solo cospirazioni contro il Regno d’Italia, ma anche manifestazioni popolari per la questione delle terre comunali,  una delle quali, quella del 14 aprile 1861, si svolse contro il sindaco, accusato di curare gli interessi dei Baroni anziché quelli del Comune. In generale i ricchi proprietari terrieri della provincia, diversi dei quali erano coinvolti in casi di usurpazioni di terreni demaniali erano i principali sostenitori del regime sabaudo e vennero coinvolti nella lotta al brigantaggio. Il Comandante della Guardia nazionale di Bisignano,  tra fine aprile e il maggio 1861, richiese “una maggiore forza armata “ per perseguitare “la banda dei rivoltosi” e per  “il mantenimento dell’ordine”.

Nel ringraziare il Governatore per l’invio di 20 Carabinieri nel comune, comunica di aver pregato diversi proprietari del posto di fornire armi alle Guardie mobili e che essi avrebbero acconsentito. L’impressione che si ha è che siano i grandi proprietari coloro che sono più spaventati dagli eventi che si susseguono in quel periodo. Tuttavia non c’è traccia di omicidi attribuibili dalla banda e alcuni riferimenti vengono esposti nella motivazione per il conferimento della cittadinanza.

E’ il giornale periodico “Il Calabrese” a riportare la notizia: “L’anno 1862, il giorno 26 Maggio nella Segreteria Comunale di Bisignano. Riunito il consiglio municipale: il Sindaco sig. Nicola Boscarelli qual Presidente del medesimo collegio seguendo la voce pubblica e considerando: Che l’egregio sig. Maggiore cavaliere Fumel, colla dispersione del Brigantaggio in questa Provincia, e con specialità per il distruggimento della Comitiva del famigerato Vincenzo Russo Ferrigno, il quale alla testa della medesima con le sue Vandaliche Gesta contro ogni ceto di persone, industrie e commercio, avea manomessa la sicurezza pubblica, l’onore dell’infelici Contadine, ed il servizio delle Poste del Real Governo, si è reso un uomo benemerito alla Patria. Il consiglio medesimo in attestato d’imperitura stima e di eterna gratitudine a voti unanimi offre all’Italianissimo Sig Maggiore Fumel la Cittadinanza di questo comune, il quale ricorderà sempre con costante affetto le sue stentate spedizioni di giorno e di notte, e specialmente quelle del 22 e del 28 dicembre, giorni memorabili del passato anno nei quali si restituì, dopo molti mesi, a questa Patria la tranquillità perduta, con ricompensa ai tanti oltraggi sofferti”.

Il Sindaco dispone che il verbale sia trascritto nel libro delle deliberazioni e pubblicato nel giornale “Il Calabrese”. E’ il primo atto del mandato del sindaco. Come riporta lo storico Gaetano Gallo (1902-1972) in Bisignano, Arte Storia Folklore nella sua permanenza a Bisignano, il maggiore Fumel fu ospite della famiglia Boscarelli.

Il colonnello Fumel così informava i suoi superiori dopo aver dormito per tre notti nella “terribile” Macchia della Tavola a Bisignano.

Fumel e la banda bisignanese di Vincenzo e Giovanni ‘i Casacca

Fumel, che viene ricordato soprattutto per essere il responsabile dell’eccidio di Fagnano Castello, dove persero la vita 100 tra pastori e contadini inermi, si recò anche nella zona Macchia Tavola a Bisignano per porre fine all’attività delle bande che lì operavano, tra cui quella capeggiata da Vincenzo Russo, indicato con il soprannome di Ferrigno.
Il Russo era però conosciuto a Bisignano con un altro soprannome: “Casacca“. Il suo nome appare   insieme a quello di altri bisignanesi, compresi alcuni notabili, nell’aprile 1861 in un caso di indagine riguardante cospirazione ad oggetto di distruggere e cambiare il Governo, rendendosi irreperibile. Pur non essendoci un numero preciso, secondo fonti prefettizie i componenti della banda si aggiravano intorno a 10 individui circa, tra cui il fratello Giovanni (Giuannu ‘i casacca).

Lo stesso Fumel, in una sua lettera, elenca bande che operavano nella zona di Macchia Tavola come quella di Franzese (Cerzeto), di Acri, di Bisignano e di Cervicati. L’area boscosa si prestava ad agguati sulla strada consolare dove transitavano convogli postali. Ogni banda ed ogni componente aveva la sua storia, ma tutti provenivano da quel mondo contadino caratterizzato da miseria, dalla fame e dalla rabbia per le promesse disattese di avere la terra (dopo decenni di attese una assegnazione delle terre demaniali avvenne a Bisignano nel settembre 1863, ma le grandi proprietà rimasero concentrate nelle mani di pochi e si rafforzarono).

E’ bene ricordare come Bisignano non conobbe, prima di allora, la formazione di bande brigantesche. Tra la fine del ‘700 e gli inizi del ‘800 anzi, Bisignano fu oggetto di assalti da parte di bande di briganti provenienti da Acri e da paesi limitrofi.  Il brigantaggio ad inizio ‘800 fu sostenuto da borbonici e inglesi per riconquistare il trono di Napoli preso dai francesi del periodo napoleonico. Si crearono bande paramilitari di migliaia di uomini che scorazzando per la Calabria assaltarono e saccheggiarono paesi interi. Dopo la sconfitta dei francesi in Europa e il ritorno dei Borbone sul trono di Napoli il brigantaggio diventa prevalentemente fenomeno delinquenziale e viene costantemente monitorato. Il fenomeno si ingigantisce ed acquista nuove peculiarità con la formazione di numerose bande subito dopo la spedizione di Garibaldi, conosciuto anche come brigantaggio postunitario.

Gli avvenimenti del 1861-62 a Bisignano si intrecciano inevitabilmente con le turbolenze sociali dovute al passaggio dal regime borbonico a quello sabaudo, con il tentativo fallimentare di restaurare il vecchio regime (con questo scopo la spedizione di Josè Borjes iniziò con lo sbarco in Calabria e si concluse tragicamente in Abruzzo), con gli atavici contrasti sociali  che vedono da una parte quel mondo contadino ed artigiano che viveva in una società classista e in cui la legge aveva riguardo per coloro i quali dominavano la realtà sociale ed economica.

Ovvero le elites della notabilato locale che sostennero il nuovo regime per avere in cambio protezione, incarichi e vantaggi. Pur essendo il brigantaggio un fenomeno sociale complesso e con diverse sfaccettature, chi si dava alla macchia non aveva altra strada che vivere nell’illegalità e divenire oggetto di  repressione da parte delle autorità del nuovo Regno.

A questo proposito Antonio Gramsci è molto esplicito, quando nel decimo dei Quaderni dal Carcere (Einaudi, 1948-51) scrive: “Le masse popolari del nord non capivano che l’unità non era avvenuta su una base di eguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno, cioè che il Nord concretamente era una piovra che si arricchiva alle spese del Sud e che il suo incremento economico-industriale era in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale.”

Le atrocità di Fumel a Bisignano

Sui fucilati di Bisignano non si è mai fatta piena chiarezza e si hanno notizie frammentarie. Il 22 dicembre 1861, dopo uno scontro a fuoco nei pressi della Casella di Groccia con le forze del maggiore Fumel, sappiamo che alcuni “briganti” rimasero uccisi, altri arrestati e sei dati alla fuga. A morire in questa data è il fratello del capo, Giovanni Russo Casacca. Il colonnello Fumel fece cercare i parenti dei fuggitivi, ottenendo la presentazione di questi ultimi colle loro armi, e “li faceva quindi fucilare sul luogo dove avevano commesso i misfatti ed attaccarli poscia all’antenne del telegrafo”.

La fucilazione di coloro che si costituirono fu ordinata da Fumel ed eseguita il 28 dicembre. Il Ferrigno rimase latitante ma il 28 febbraio 1862, con l’inganno venne fatto inumanamente trucidare a colpi di scure.

Da questa vicenda nasce anche il proverbio bisignanese: “Nu fari ‘a fini i Sartorio, ca ppi na mangiata fu ammazzatu a Gattarraggiata”.

I metodi repressivi del colonnello Fumel giungeranno alla Camera dove il deputato calabrese della Sinistra Luigi Miceli, uno dei Mille, si disse inorridito del fatto che un soldato qualunque, sia che si chiami Fumel o abbia un altro nome, assalti le case, giudichi i suoi arrestati e poi li fucili, questa è tale enormità che è in assoluta contraddizione colla civiltà che vantiamo e in contraddizione colla libertà che crediamo di possedere.

Il deputato Giuseppe Ricciardi disse alla Camera il 18 aprile 1863: “Questo colonnello Fumel si vanta d’aver fatto fucilare circa trecento briganti e non briganti”.

Anche Nino Bixio, così come molti altri comandanti dell’esercito, presero le distanze da alcune decisioni di Fumel. I metodi brutali del colonnello attirarono lo sdegno dell’opinione pubblica europea e, spinto principalmente dalle proteste del parlamento italiano e britannico, il governo decise di rimuoverlo dall’incarico.