Ambiente. Terre di fuochi. Acque avvelenate. Coscienze sporche

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  • di Giovanni Vuono

La Terra del Fuoco propriamente detta è l’ultimo lembo di terra abitato in fondo al continente sudamericano, in fondo al pianeta. Fu chiamata così da Magellano che, al suo arrivo, notò diversi fuochi provocati dagli indigeni Yamanas per favorire pascoli freschi per i loro ovini e per quello che successivamente venne chiamato “oro bianco”, cioè la lana, prima risorsa economica a fiorire quaggiù.

Poi fu l’oro e poi il petrolio. La capitale è Ushuaia, in origine città carcere che, col tempo e grazie a Carlo Borsari falegname e costruttore bolognese, fu trasformata in un modello di abitabilità e funzionalità. Ushuaia è l’ultima città del meridione del pianeta e, nonostante le immaginabili temperature proibitive, conta oggi oltre 150 mila abitanti. Sui cartelli di benvenuto è scritto “Ushuaia. La fine del mondo”.

Ora, una triste curiosità. Questo posto in capo al mondo dove secondo l’immaginario collettivo si pensa a enormi quantità di neve e ghiacci, non ha sufficiente acqua! Il ghiacciaio Martial che garantisce l’approvvigionamento idrico non è più sufficiente a soddisfare il fabbisogno necessario perché sta per scomparire e l’acqua è razionata! Ushuaia sta per diventare il simbolo della fine del mondo.

È lo scioglimento dei ghiacci dovuto all’innalzamento delle temperature, un problema universale dal polo Antartico all’Himalaya fino alle nostre Alpi. E la sconsiderata azione dell’uomo fa il resto con l’Amazzonia (duemila alberi abbattuti ogni minuto) e con la maggior parte delle più preziose e fondamentali risorse naturali che consentono la vita sulla Terra. La scienza quotidianamente sottolinea questo distruttivo trend con tanto di ricerche e documentazioni che evidenziano un fin troppo prevedibile infausto futuro. Voci però inascoltate.

Come quella di Papa Bergoglio che si è autodefinito “il papa della fine del mondo” e nell’enciclica “Laudato sii” ha lanciato il suo accorato appello per una più consistente responsabilità ambientale affinché si ponga urgente rimedio a questo disastro che è grande minaccia per tante forme di vita e per noi stessi. Voci inascoltate come quella delle tante organizzazioni ambientaliste che, pur trovando adeguato e ampio spazio mediatico, vengono giudicate con superficialità come voci catastrofistiche.

Voci come quella di Greta Thumberg, ormai icona della protesta ambientalista, capace di coinvolgere l’opinione mondiale eppure addirittura irrisa e sottoposta a un crucifige da parte di chi, anche nella propria responsabilità di potere, potrebbe agire e favorire un percorso risolutivo del problema. Ebbene, tutto lascia pensare a interessi economici e finanziari che ostacolano l’urgenza di un cambiamento e che assoggettano con ciniche e utilitaristiche manovre, le politiche dei governi di mezzo mondo. Tutto lascia pensare a coscienze già molto sporche che continuano a macchiarsi di comportamenti efferati a danno dell’intero pianeta e dell’umanità.

E se da una visione globalista passiamo a un ambito locale, se zoomiamo sul fenomeno e vediamo le cose più da vicino, più verso casa nostra, ecco che il tutto si ripete. Un’altra terra con fuochi questa volta dovuti a ben altri motivi, è la regione Campania. Più che spesso citata nelle cronache con le sue discariche abusive di materiali ad altissima pericolosità ambientale che provocano danni immani in un territorio che vanta anche produzioni agro-alimentari importanti. E non scordiamoci che questi stessi prodotti arrivano poi sulle nostre tavole per cui non è difficile immaginare il danno che provocano alla salute di noi consumatori.

Questa terra è detta dei fuochi perché i gas sprigionati prendono fuoco a contatto con l’ossigeno dell’aria e non sono esattamente dei suggestivi fuochi fatui. E poi è risaputo. Attorno al fenomeno smaltimento rifiuti girano interessi di malavita organizzata, gente senza scrupoli che è responsabile non solo di danno ambientale ma di vera e propria tentata strage. Ora, che costoro in quanto delinquenti abbiano la coscienza sporca è più che scontato. Ciò che fa specie, invece, è che spesso godono di coperture e appoggi da parte di istituzioni conniventi con personaggi che dietro una facciata, dietro una maschera di lucido e brillante maquillage, nascondono una coscienza altrettanto lercia e putrida.

E dietro quei sorrisi ipocriti che mostrano in pubblico, davanti alle telecamere e che esibiscono nei social selfie, nascondono aguzzi denti canini di avidi vampiri succhia-sangue. Ma stringiamo ancora un po’ il campo dell’inquadratura e arriviamo al nostro territorio di Bisignano. Ma guarda che combinazione! La scena non cambia, neanche il copione e neanche gli attori protagonisti. Peccato però che non si tratti di un film ma di una triste e atroce realtà.

Torniamo solo a poco tempo fa, torniamo alla vicenda di avvelenamento ambientale che interessò il territorio di Bisignano. Allora scrissi una nota circolata sui social dal titolo “Arsenico e Vecchi Merletti”, titolo calzante preso a prestito dalla famosa commedia di Joseph Kesselring. Arsenico perché così è stata indicata l’operazione giudiziaria che portò al sequestro dell’impianto di smaltimento rifiuti della Consuleco s.r.l. e la stessa denominazione fu a sua volta scelta dagli inquirenti perché, negli scarichi residui che venivano riversati nel fiume Mucone, fu evidenziata un’alta concentrazione proprio di arsenico.

Dei vecchi merletti dirò tra poco. Ora, ancora una volta, voglio ricordare che detto fiume Mucone percorre buona parte del territorio bisignanese per poi confluire nel fiume Crati che arriva a sfociare nello Ionio attraversando anche la fertile e produttiva piana di Sibari. Voglio ricordarlo per fornire un quadro della dimensione del territorio coinvolto e del conseguente danno, anzi, avvelenamento ambientale prodotto.

Qui le responsabilità sono di tutti, nessuno escluso. Certo la quota maggiore spetta a chi ha ricoperto e ricopre ruoli istituzionali come l’attuale amministrazione comunale che già nel suo bradipico agire al rallenty non si capisce se i componenti dormano o siano desti. Fatto sta che costoro nulla hanno dimostrato di sostanziosa intenzionalità risolutiva per l’annoso problema e per tutti gli altri che riguardano la salubrità dell’ambiente. E capiamoci bene. L’avvicendarsi alla guida amministrativa di un territorio avviene tramite consultazione elettorale e rientra nella norma, è nella costituzione.

Chi decide di competere, compie un atto di responsabilità al fine di adoperarsi per il bene e il miglioramento del territorio. Chiaro che in caso di affermazione, è soprattutto questo che deve fare anche se si tratta di rimediare ad errori causati da altri che comunque potranno essere accertati, questi sì, con certa calma. Quindi i vari “non c’ero”, “è colpa di altri” etc., sono un venire meno alle proprie responsabilità di pratica politico-amministrativa, sociale e ancor di più etica.