TOTO’ RIINA, ORA IMPUTATO AL TRIBUNALE DIVINO

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È morto oggi, venerdì 17 novembre 2017, un delinquente, soldato di Cosa Nostra prima e capo sanguinario della banda dei corleonesi poi. Niente più, niente meno. Non era leggenda, non era uomo di Stato, non era un paladino della giustizia, non era il Messia, non era il salvatore dei popoli. Dati tutti questi “non era”, sembra poco coerente ripercorrerne la biografia come si usa fare con i grandi uomini. Appare più consono, invece, accanto alla qualificazione di detenuto, stilare la lunga lista dei suoi reati che giustificano da soli, essi stessi, la condanna di Totò ‘u curtu all’ergastolo sotto il regime 41 bis, ossia il carcere duro, che giustifica ulteriormente la poca considerazione per “l’uomo” ed il velato anonimato che in questa sede si intende attribuire a chi, con una bomba, voleva cancellare gli Uomini ed i loro ideali.

Omicidio del capitano Emanuele Basile; omicidio di tre pentiti; omicidio del tenente colonnello Giuseppe Russo; omicidio dei commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà; omicidi di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Michele Reina; omicidio del giudice Antonino Scopelliti; omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; omicidio del capo della mobile Boris Giuliano e del prof. Paolo Giaccone; strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Montinaro, Schifani, Dicillo; omicidio del giudice Cesare Terranova; omicidio del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto; strage di via D’Amelio dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Loi, Catalano, Li Muli, Cosina, Traina; attentato in via dei Georgofili in cui persoro la vita cinque persone; attentati di Milano e Roma; omicidio del giudice in pensione Alberto Giacomelli e del giudice Rocco Chinnici; strage di Pizzolungo in cui persero la vita Barbara Rizzo ed i suoi figli Salvatore e Giuseppe, gemellini di 6 anni; strage di viale Lazio; omicidio del politico della DC Giovanni Mungiovino; assolto per “incompletezza della prova” (?) per l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro. Idea di Riina sarebbe stato pure il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo di soli 13 anni, legato e lasciato nel cassone di un furgoncino prima di essere consegnato ai suoi carcerieri che lo spostavano da una parte all’altra fino al casolare-bunker di San Giuseppe Jato dove rimase per 180 giorni prima della sua barbara uccisione: fortemente indebolito e dimagrito, all’età di 14 anni, il bambino venne sciolto nell’acido nitrico. Motivo? “Tappaci la bocca”, riferito al padre del ragazzino che nel frattempo, pentito di mafia, collaborava con la giustizia e faceva luce sulla strage di Capaci. Questi sono i reati senza contare gli omicidi di altri mafiosi che ha fatto ammazzare per il controllo del territorio e per l’espansione, senza ostacoli, della mafia delle belve di Corleone.

Ma ancora, l’ormai ex detenuto, fece accordi con lo Stato, anzi, stabilì le regole del gioco e le fece conoscere allo Stato che, ahimè, si adeguò e probabilmente continua ad adeguarsi. Il giudice Nino Di Matteo, incaricato di far luce sulla c.d. trattativa Stato-mafia, quindi sugli omicidi “eccellenti” di Falcone e Borsellino, subì, anche di recente, minacce di morte direttamente dal carcere, in prima persona da ‘u curtu, che non ha mai smesso di muovere i fili, nonostante il carcere duro. Questa persona non si è mai pentita del male che ha procurato alla gente e all’Italia intera, non ha mai fatto i nomi dei suoi complici e dei suoi “mandanti” politici e, tutto questo non è certo sinonimo di quell’“onore” tanto ostentato da certa gente, ma solo di vigliaccheria e presunzione, la presunzione di uno poco studiato che reputa ignorante il popolo italiano e non, tanto ignorante da credere che lui sia stato il giustiziere. È stato, infatti, così giusto e giustiziere e innamorato e protettore della “sua” gente, che non solo ha ucciso la parte buona dello Stato, la parte che stava scoprendo gli sporchi interessi suoi, dei suoi compari e di buona parte di politici e uomini dicasi di Stato, ma che ha portato con sé, nella tomba, i nomi dei politici che hanno usato la bandiera tricolore per pulirsi la faccia imbrattata di collusioni e macchiata di sangue, i nomi di quei politici che noi siamo tanto bravi a contestare, ma che nello stesso tempo siamo pronti a difendere, senza rendercene conto, quando diciamo:”Totò ha salvato l’Italia”. Giovanni Falcone affermava che:”La mafia […] non dobbiamo trasformarla in un mostro, dobbiamo riconoscere che ci assomiglia”. E Gratteri continua il suo pensiero:”Le manette e le sentenze non bastano. C’è bisogno della partecipazione ordinaria di tutti, il coinvolgimento delle famiglie, della scuola, della società che devono sentire la bellezza del fresco profumo della libertà.

Le mafie sono come un enorme cumulo di macerie, una montagna di rifiuti. A vederli ammassati gli uni agli altri, ti fa sentire impotente, ti fa venire meno le forze, il coraggio di reagire. Prevale lo scoramento. L’unico rimedio è la bellezza, il rispetto del bene comune” (dal libro, L’inganno della mafia, Gratteri-Nicaso). La mafia è una montagna di rifiuti e come tale va trattata: si differenzia, si comprime e, infine, si smaltisce. Totò detto “la belva” siederà nel banco degli imputati del tribunale divino, ma per raggiungerlo, dovrà sfilare in mezzo alle sue vittime. Sulle prime seggiole, vicino al Supremo Giudice, saranno seduti Falcone e Borsellino e lui incrocerà i loro occhi, quegli occhi che rivivono nello sguardo di altri uomini e donne che decidono ogni giorno di non piegare la testa, quegli occhi che, in vita, lo hanno fatto tanto tremare.

Federica Giovinco