Sanità, terra di confine. Viaggio tra i reparti interrotti di Cosenza

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In Calabria la sanità è terra di confine. E’ un salto senza rete di protezione. Un settore in cui girano capitali astronomici, spesso ingurgitati in un sistema improntato alla malagestione. Su cui pende minacciosa la sciabola del commissariamento. In queste terre quando ti ammali devi scegliere se curarti al Nord, o dimenarti tra le maglie del sistema sanitario regionale. Facendo i conti con tutti i suoi limiti. Quotidianamente…

L’ospedale “Annunziata” di Cosenza è un gigante bianco. Un’ imponente struttura, il cui cuore, nato nel 1939, sorge poco lontano dal centro cittadino. Tristemente noto per i recenti fatti di cronaca nera, che hanno visto protagonista Angela, una bambina cinese deceduta nel reparto di pediatria in circostanze tutte da accertare, questo ospedale è il centro vitale del sistema sanitario provinciale. Dal duemilacinque, infatti, gode di un’ unità operativa di Ematologia, nata per essere l'”eccellenza” della sanità del cosentino. Da allora i pazienti ematologici che vivono su questo territorio hanno un riferimento. E possono scegliere tra la migrazione extraregionale e la cura sul proprio territorio, superando la necessità di recarsi nel centro di Catanzaro o quello di Reggio Calabria. Da più di due anni questa unità ha trovato sede nei nuovi locali. E qui, quello che per il dottor Morabito, dirigente del reparto, dovrebbe essere “il fiore all’occhiello” dell’ematologia meridionale, si consuma tra splendore e contraddizioni. Se si passeggia per il secondo piano di questa struttura, infatti, si finisce in un corridoio che di colpo si interrompe. Da qui si scorge una parte dell’intero piano. Immersa nel limbo dell’attesa, da più di due anni. Dagli spessi vetri dei portelloni, che dividono questa zona dal resto del reparto, si intravede un lungo corridoio vuoto. Sulle pareti laterali si susseguono una serie di porte chiuse. Intorno, gli spessi vetri, sono rattoppati con carte di giornale. Accanto: una stanza immersa nel disordine e nell’abbandono. E’ il reparto di degenza ordinaria dell’Unità Operativa di Ematologia, anello mancante che “completerebbe il percorso assistenziale del paziente ematologico”. Un fiume di soldi investiti per la costruzione, che stanno li, cristallizzati nell’attesa tra le pareti vuote e i lunghi corridoi. Senza l’apertura di questo reparto, se hai il cancro, per fare la chemio, devi viaggiare. Talvolta per centinaia di chilometri. Poco importa quale sia la tua condizione. Oppure puoi trovare una sistemazione nel Dipartimento di Medicina. Mentre le stanze preposte all’accoglienza del paziente ematologico restano vuote. Vogliamo capire il perchè di una tale assurdità. Ma l’agenda fitta del nuovo direttore sanitario non ci concede di incontrarlo prima di sabato. Allora decidiamo di affrontare un viaggio e raccontarvi una storia, con gli occhi di chi vive le conseguenze di questa contraddizione sulla propria pelle. Di pellegrinaggio in pellegrinaggio.

Ad Acri, paese incastonato tra le montagne dell’entroterra cosentino, ci si ammala di cancro e leucemia sempre più frequentemente. Nonostante questo fazzoletto di terra sia immerso nel verde. In soli tre giorni, Palazzo Gencarelli, sede del municipio, è stato colpito da ben due lutti. Un’ ecatombe silenziosa, che rieccheggia il fantasma del traffico di rifiuti tossici, da cui il paese è stato coplito negli anni novanta. Tra le vittime di questo male, che assume la forma di un vero e proprio massacro, c’è anche la signora Bianca. I riccioli scuri attorniano un viso pallido, segnato dalla sofferenza. Eppure questa donna non sprigiona un lamento. Solo qualche sospiro, a scandire i lunghi silenzi. “Oggi è un anno”. La sorella ricorda perfettamente quando è iniziato tutto. Un anno fa Bianca ha scoperto la sua malattia. E da allora è la chemio a scandire i mesi che costellano la sua esistenza. Seguendo questa donna in uno dei suoi faticosi pellegrinaggi verso l’ospedale Annunziata di Cosenza, l’importanza dell’apertura del padiglione di degenza ordinaria diventa sempre più palpabile. Da mesi le gambe hanno ceduto e Bianca non può più camminare. I quattro piani che la separano dalla strada cittadina sono una barriera insormontabile. Per scendere le scale quattro persone robuste devono trasportarla, su una sedia che assume la funzione di una barella improvvisata. Arrivare all’ospedale per fare la chemioterapia, viaggiando, giorno dopo giorno, è un martirio. Per lei e per la sua famiglia. Sette giorni al mese. Tutti i mesi. Sono la Croce Rossa e l’associazione “Susy sorriso di Dio” ad accompagnare Bianca nei suoi pellegrinaggi. Ad Acri, infatti, l’ossatura dei servizi sociali è rappresentata dalle associazioni. Con loro si parte la mattina presto. E alle nove si è già in reparto. Spesso, poi, bisogna aspettare ore, ed ore. Interminabili. A causa della carenza di personale, che da anni incide pesantemente sulla qualità dell’assistenza prestata, i medici e gli infermieri sono spesso costretti a pesanti turnazioni. Gli straordinari si susseguono, ma non c’è l’ombra di un concorso per l’assunzione di nuovo personale. In mezzo a questo tempo, scandito dalla sofferenza di chi è debilitato dalle cure e dalle lunghe traversate da un versante all’altro della provincia, il piano vuoto del reparto di degenza ordinaria sembra un miraggio. Stretto tra le mani nude della provincia cosentina. Così, ogni singolo caso, va risolto attraverso l’intervento delle istituzioni locali. Maurizio Simone, neo assessore alle Politiche Sociali del comune di Acri, ha affrontato tempestivamente il problema di Bianca. “Ho incontrato personalmente un dirigente dell’ospedale Annunziata”, ci dice. “Al prossimo ciclo di chemioterapia mi hanno assicurato che la signora verrà ricoverata”. Dalla prossima settimana Bianca non viaggerà più. Eppure, tante altre persone, vittime come lei di un male terribile, continueranno a subire le conseguenze di questo ingranaggio inceppato. Sulla propria pelle.
Cinque mesi fa un folto gruppo di politici e rappresentanti del mondo dell’associazionismo, si era recato in visita presso l’Unità operativa di Ematologia. In quell’occasione il Direttore Generale dell’Ao, Puzzonia, aveva assicurato che la degenza ordinaria sarebbe stata aperta a breve. Parole cadute nel vuoto. Per l’ennesima volta. Ora si tratta di capire se ci sono responsabilità politico-istituzionali, che hanno contribuito alla paralisi dell’apertura del reparto di degenza ordinaria. Perchè il sogno di un modello di “progetto integrato di umanizzazione delle strutture ospedaliere” non sia destinato a infrangersi tra gli scogli della burocrazia calabrese.

Giulia Zanfino
foto © Giulia Zanfino
su: Mezzoeuro 05/05/2010