Non è un paese per giovani. Forse per gggggiovani

Letture: 529

L’editoriale estivo si incentra sulla valutazione dei giovani, dei gggggiovani (prima lettera in abbondanza) e di quello che non c’è, non ci sarà, non c’è stato.

La valutazione parte da una base di cui ci accorgiamo: quanti sono nati dal 1980 in poi – per fare una prima stima – vivono, lavorano e studiano spesso fuori dai nostri confini. Fin qui potrebbe essere visto come nulla di strano, come un’evoluzione delle basi lavorative e altro ancora.

Il problema è quando ciò si ripete ciclicamente come unica arma di salvezza, perché questo territorio non è in grado di far rimanere i giovani, non è in grado di dargli dignità lavorativa, non è nelle condizioni di attrarre aziende e insediamenti occupazionali di un certo livello: guardate la zona industriale e provate a dire il contrario.

Molti giovani lasciano il territorio, intanto, per frequentare università o corsi di formazione nelle città più grandi o all’estero, e spesso trovano più conveniente rimanere nelle aree dove ci sono maggiori possibilità di impiego, dove si possano fare stage e tirocini (termini sconosciuti da queste parti). Ne abbiamo una conferma anche girando nel centro storico e nelle varie zone residenziali, basta domandare le persone e sentire:

“Il mio figliolo/a lavora fuori, qua non c’è niente”

“Mio figlio/a è a Roma/Milano/Venezia ecc, ha già comprato casa lì’ e non tornerà più”.

“Mio figlio/a veniva sfruttato/a qua da ladri e vavusi. E’ andato/a fuori e ha incominciato a guadagnare per quel che merita”.

E non è un problema prettamente limitato agli ultimi anni (per i soliti lettori che vogliono imboccate le cose col cucchiaino: non puntiamo il dito solo sulla politica, o quanto meno non è una criticità irrisolta dalla publicae dei tempi recenti).

Vi sono problemi di sviluppo locale ormai critici, la mancanza di infrastrutture, servizi e iniziative di sviluppo rende meno attraente vivere a Bisignano, spingendo i giovani a trasferirsi in centri più attivi e dinamici. La percezione di poche prospettive di crescita e di un futuro incerto porta i giovani a considerare il trasferimento come unica soluzione per migliorare le proprie condizioni di vita. E appunto, questo fenomeno si è radicato nel tempo (seppur con modalità diverse) portando a un calo della popolazione giovane e a un invecchiamento della comunità locale.

La carenza di investimenti pubblici e privati nel Sud si traduce in meno progetti di sviluppo e di creazione di posti di lavoro, ma vi è anche la poca pubblicità delle varie possibilità che emergono seppur con fatica: ciò può scoraggiare l’innovazione e l’imprenditorialità giovanile. La poca scelta di strutture formative di qualità e di supporto alla stessa innovazione limita quindi le competenze dei ragazzi e le loro possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro.

Un tempo si emigrava per fame, ora per tutta una serie di questioni a volte non solo meramente economiche. Quanti giovani con un pedigree culturale, formativo e lavorativo di eccellenza sono stati coinvolti a vario titolo sul territorio? Quali professionalità sono state premiate nel corso del tempo? Ci sono stati progetti per coinvolgere ragazzi e ragazze che, senza santi in paradiso, hanno dimostrato di valere tanto, senza fare vave al viale?

Ed è un po’ per questo che questo è diventato un paese per gggggiovani, rimpiangere la camminata al viale Roma non serve a nulla: se è finito o quasi l’associazionismo, se il paese è diventato un blocco freddo e poco coinvolgente non è solo per il fatto di non consumare più le suole delle scarpe in una piazza che riflette la realtà del territorio.