La verità in tasca

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…Ma veramente, veramente? Cioè, sul serio voi direbbe, che così stando i fatti, allorquando situazioni e circostanze impongono… ignorando volutamente il loro permanere inalterate e incartapecorite oramai da lustri, per esclusivo vantaggio e lustro dei pochi con le mani in pasta… (ché poi le cose, a volerlo per davvero, cambierebbero pure, solo se…) fintantoché nella vostra eccelsa zucca la verità rimane verità inane ovvero nitida millanteria, ciurlare nel manico, appropriazione indebita, debito di riconoscenza, rendita di posizione… ché la verità è altresì una gran bella cosa cui correr dietro oppure da scovare con lo scovolino o un sondino idoneo all’abuso nei giornali, nel web, nell’etere… ché, …cioè, voi la signora verità vi disponete a rincorrerla col lanternino in mano, con e senza lente d’ingrandimento, dove meno essa si erge, si scorge, si scova, forse ligi a un malcelato vezzo, ad un atto di fede e di costrizione per cui non potete che brandire il vessillo dell’assoluta verità, intonsa e senza macchia, obiettiva a tutto tondo, ben delineata e definita, da ingurgitare cucchiaino in bocca, da digerire senza alka-seltzer o maalox plus… La verità inculcata e atto di fede, la verità nickname, e totem imprescindibile da spandere e spargere come lievito naturale, concime per le anime belle in assenza di gravità… la verità scettro, spettro, plettro per tutte le corde da suonare e risuonare o solo da sfiorare, e nel tocco a deliziarvi dell’eco del rintocco, per cui non ci può essere ai vostri orecchi che un’unica e sola campana… Cioè, voi sul serio direbbe, che la verità non è per niente a ciascuno il suo fardello, credo, modus operandi, modus vivendi, modus ponendo ponens, per cui due più due non può che fare quattro? La verità teologica, la verità giudiziaria, la verità filosofica (ultima e/o prima) la verità ab ovo usque ad mala, la verità di taglia acconcia alla bisogna o per tutti sempre uguale, la verità per cui la quale, la verità si, no, forse …ma la mammina non ve l’ha giammai spiegato che verità non nasce certo sotto i cavoli fioriti e che non la porta nemmeno la cicogna? Ci sono i fatti certo, ma come disgiungere le interpretazioni dai fatti ammesso che ciascuno possa disporre a sua esclusiva discrezione e sazietà dell’apposito crivello? E la lettura dei fatti come può essere percepita da ciascun lettore più o meno (dis)informato? Soggettivamente? Oggettivamente? Supinamente? Surrettiziamente? Le parole non sono neutre, tantomeno le cifre, e la stessa scelta di sottolineare o meno un fatto è di per sé opinabile? Ciò che si legge spesso rientra nella sfera delle propria sensibilità, esperienza, cultura, e non è raro il caso che si cerchi attivamente o si trovi, quasi per caso, ciò che più collima con il nostro carrello di verità o, se volete, di punti di vista. Se un giornalista scrive di Tizio o Caio ma mai di Sempronio cosa vorrà dire? Che Sempronio non esiste, è irrilevante, non fa testo, oppure che è meglio non parlarne? Se un giornalista scrive che una cosa è rossa, lilla o a pois fa un pezzo di colore, da sfogo alle sue percezioni visive (fatte salve le sue défaillance oculari o oculistiche) o rimarca soltanto l’inessenziale? Che la maggioranza a sostegno della giunta di Sua Umiltà Umile da Bisignano, abbia perso i pezzi e la sindacatura dell’Umilissimo sia ingloriosamente affondata è ormai un dato di fatto e non più un’aspirazione, ma ciò non toglie che ognuno rimane della sua convinzione se si sia trattato d’un suicidio dilazionato, omicidio (pre)meditato o teleguidato, ritirata accidentale, iniziativa meritoria o immotivata, sic et simpliciter una cessazione connaturata. Questioni tutt’altro che speciose, secondarie o di lana caprina, che la stampa non ha affatto dissipato né tantomeno i diretti interessati. Discutere di queste cose, come di mille altre, può apparire una perdita di tempo, un esercizio fine a sé stesso, oppure un utile passatempo per rimanere a traino delle proprie opinioni, accarezzando pelo e contro-pelo delle proprie mezze o intere verità. Il web alle nostre latitudini, spesso e volentieri, non aggiunge molto, tutt’al più veicola articoli ed articoletti di giornali che non si sa in quanti leggano nel formato cartaceo e soprattutto comprano. Spesso si riduce a chiacchiere da bar con tutto il rispetto per le chiacchiere ed i bar considerati separatamente. Non voglio discutere né in merito a detti articoli, né a detti a giornali e giornalisti, ma solo chiedere perché si dovrebbe lasciare l’informazione, e per intero, in mano ai cosiddetti professionisti? Se c’è una possibilità che offre il web, e che tutti, indistintamente, possano dire la loro, assumendosene la responsabilità beninteso, senza rispondere che alle proprie verità e non a un feticcio uguale per tutti e buono per tutte le stagioni. Agli eventuali lettori la possibilità di scegliere da che parte stare o non. Schierarsi, non è che il presupposto iniziale per sfuggire alla palude dell’indistinto e dell’omologazione! A volte si ha l’impressione che ci sia da parte dei blogger nostrani e degli internauti una sopravvalutazione del mezzo, ossia del web. Quanti saranno i navigatori bisignanesi habitué non distratti di internet, che i più giudicano men che meno d’un passatempo fine a stesso? Non discuto il mezzo, si badi, ma l’uso che se ne fa. Tutto rischia di rimanere confinato nella cornice di un desktop senza spingersi oltre. Informarsi, o se volete formarsi, non è facile, soprattutto nell’era 2.0, bombardati da tutti i fronti, ma spesso ostinatamente fedeli solo ai nostri preconcetti o ad una pratica dell’informarsi che non va oltre i titoli dei giornali, siano essi scritti o raccontati. La complessità è un paradigma che si presta ad essere certamente strumentalizzato, ma incontrovertibilmente rimane  una realtà. Fortunatamente non tutto si riduce a twitter, facebook, essemmesse, anonimo commento, ma poco ci manca.  La democrazia, o meglio la rinascita della democrazia richiede sacrificio, abnegazione e soprattutto niente lenti appannate e testa bassa. Perché ridurre la resurrezione della democrazia a solo esercizio del voto? Le campagne elettorali comunali si susseguono con una ciclicità che rischia d’essere troppo lasca per qualsiasi cambiamento, le svolte vere sono sempre figlie d’una messa in discussione radicale del passato e mai di un’auto-designazione o di un risoluzione disperata alle soglie di una campagna elettorale in mancanze di alternative. Tutto questo fervore per le vostre beate amministrative appare fuori luogo e fuori dal mondo. Perché confinare l’amministrazione nei recessi municipali o nelle sacrestie più o meno pubbliche? Perché lasciare la politica ai politici o presunti tali? La partecipazione non è un qualcosa che va concesso da una maggioranza, un partito o un sindaco, ma un diritto che va scippato, reclamato a gran voce dai cittadini, ma i bisignanesi nel passato, pure recente, hanno dato dimostrazione di essere più sudditi che cittadini. La devastante crisi della politica italiana e la zoppicante libertà di stampa che vige nel nostro paese non hanno trovato, per ora, o solo qualche volta, nel web che qualche spiraglio ma mai una vera opportunità. Se la gioventù non scalpita, l’intera società appare seduta, intenta a difendere il poco o molto che ha. Bisignano non fa eccezione, anzi. In molti si aspettano troppo dalle future elezioni amministrative, ma in quanti saranno disposti a cambiare il cavallo su cui hanno da sempre continuato a puntare?

Rosario Lombardo