GIUGNO ’92: BORSELLINO TEMEVA LO STATO

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“C’è un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato”. Lo confessò Paolo Borsellino alla moglie, Agnese, proprio nella metà di giugno del 1992. Come riporta il libro “Paolo Borsellino e l’agenda rossa” a cura della redazione 19luglio1992.com: << In quello stesso periodo, Paolo Borsellino chiude sempre le serrande della stanza da letto della propria abitazione, temendo di esser visto da Castello Utveggio. Il magistrato dice alla moglie Agnese:”Ci possono vedere a casa”>>. Tale Castello, gotico e di color rosa pallido, si erge maestoso dal monte Pellegrino, con vista su tutta la città di Palermo. Teoricamente abbandonato e disabitato, praticamente si è presupposto fosse in uso al SISDE, “Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica”, in altre parole, Servizi Segreti italiani. Forte era ed è il sospetto che una parte di tali Servizi deviati fosse in stretta relazione con la mafia siciliana e che, addirittura, progettasse e attuasse gli attentati alle personalità che rappresentavano proprio lo Stato per il quale loro avrebbero dovuto lavorare! Borsellino temeva questo e forse le sue indagini lo avevano portato troppo vicino alla prova di questa teoria oppure alle prove che, effettivamente, una trattativa tra lo Stato e la mafia ci fosse per davvero. Raccogliamo il nastro. Il 21 giugno 1989 la mafia attentò alla vita di Giovanni Falcone presso l’Addaura, attentato fallito perché il tritolo non esplose. Dopo la condanna di alcuni esponenti della mafia, nel 2008 si riaprono le indagini per alcune dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, uno dei quali Vito Lo Forte. Quest’ultimo parlò di due agenti dei Servizi che disattivarono l’esplosivo e che, per questo, furono poi assassinati. Ora, se nessuno sapeva che la destinazione di Falcone quei giorni fosse proprio l’Addaura, come mai lo sapevano la mafia ed il SISDE? Lo Forte venne poi smentito dai periti del Gip di Caltanissetta che sulla muta subacquea ritrovata non riscontrarono altro dna se non quello di Galatolo, un mafioso già condannato. Di certezza, però, non si può parlare: che su quella muta non ci fosse altro dna non escluderebbe che qualcun altro, con un’altra muta subacquea, si trovasse lì e che, più intelligentemente, l’avesse portata con sé. Saltiamo al 2010, quando il pentito Spatuzza riconosce nell’ex funzionario del SISDE ed attuale funzionario dell’AISI, Lorenzo Narracci, “il soggetto estraneo a cosa nostra visto nel garage mentre veniva imbottita di tritolo la Fiat 126 usata nell’attentato al giudice Borsellino”. Giorno 19 luglio 1992, in via D’Amelio, erano presenti soggetti in abiti civili che alcuni pentiti hanno riconosciuto essere uomini dei Servizi vicini a cosa nostra. Sempre di quel giorno, Giuseppe Garofalo, capo di una pattuglia, testimonierà di essersi imbattuto in un uomo in abiti civili e alla domanda su chi fosse, lui rispose di appartenere ai Servizi. E allora, cosa significa questa ombra dei Servizi Segreti sulle stragi degli anni ’80-’90? Il SISDE, come l’AISI, sono parte della Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana. Ecco, allora, le prove che una trattativa ci fu e che, Paolo Borsellino era vicinissimo a dimostrarlo e renderlo pubblico dopo le indagini condotte sulla strage di Capaci. Qualcuno, però, non poteva lasciarlo parlare e l’ha imbavagliato con l’unico modo con il quale poteva imbavagliarsi quel Colosso di Giustizia di Paolo! Il tritolo, però, non è riuscito a zittire chi porta sulle proprie gambe le idee di Paolo e di Giovanni.

Federica Giovinco