DIALOGO CON CATERINA CHINNICI:”SCEGLIERE LA STRADA DELLA CRIMINALITA’ VUOL DIRE VIVERE NELL’OSCURITA’ ”

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Quasi una settimana è trascorsa dalla messa in onda del film “Rocco Chinnici- E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte”, tratto dal libro della dott.ssa Caterina Chinnici, figlia del magistrato palermitano ucciso dalla mafia. Una settimana per meditare sulla figura del giudice Chinnici e trarne i dovuti insegnamenti. Una settimana: tempo ormai maturo per parlare alle coscienze.

Rocco Chinnici arriva all’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo con l’incarico di giudice istruttore, dopo un trascorso da uditore giudiziale presso il tribunale di Trapani e da pretore presso Partanna. Raggiunge il grado di magistrato di Corte d’Appello e, nominato Consigliere Istruttore Aggiunto, diviene successivamente magistrato di Cassazione e Consigliere Istruttore, chiamato alla carica di dirigente dell’Ufficio in seguito alla morte del suo collega e amico Cesare Terranova.

Nel periodo più cupo della storia siciliana e, oserei dire, italiana, in cui l’isola era trincea ed i rappresentanti dello Stato pulito, eroi caduti in guerra, Rocco Chinnici capisce che, l’unico modo per colpire la mafia era giocare d’anticipo: bisognava cambiare innanzitutto il tradizionale metodo d’indagine. Le indagini di mafia dovevano essere trattate e condotte tutte insieme, coordinate da un gruppo di magistrati, in modo tale da poter incrociare i dati e sciogliere i nodi. Chinnici chiama, oltre ai giudici Di Lello e Guarnotta, anche Borsellino e Falcone, esperto in campo economico, perché la strada da percorrere per inchiodarli era una sola: quella del denaro. Il maxiprocesso contro Cosa Nostra fu il frutto del lavoro istruttorio del Consigliere Chinnici e del suo pool.

Il film ha messo in risalto la parte umana, oltre a quella professionale ormai conosciutissima, di Chinnici, quell’aspetto di Uomo semplice, gran lavoratore, di padre presente e di marito affettuoso che, gentilmente ed esaustivamente, ci ha raccontato Caterina, figlia del giudice, in una intervista esclusiva che ci lusinga poter rendere pubblica. Scopo di raccogliere direttamente e far conoscere le sue parole non è tanto quello di impreziosire uno scritto, funzione che, comunque, sicuramente assolve; bensì quello di dar voce a chi realmente ha vissuto determinate situazioni, voce che ha il potere di parlare direttamente al cuore, senza intermediari, per convincerci che la mafia toglie, non offre, la mafia uccide, non salva: la mafia distrugge.

Di seguito, l’intervista all’on. Caterina Chinnici.

  1. Il magistrato Rocco Chinnici è stato impeccabile ed irreprensibile nel suo lavoro ed, in particolare, nella sua innovativa ed efficace metodologia d’indagine. Invece, ora, vorremmo conoscere il giudice nelle vesti di padre e marito, perché gli eroi sono, in realtà, “solo” Uomini giusti. Allora le chiedo: com’era il giudice in famiglia? Come gestiva l’incresciosa situazione di essere bersaglio della mafia ma, al contempo, padre e marito?

“Papà è sempre stato molto determinato nel portare avanti il proprio lavoro anche quando il rischio si era fatto alto e, al tempo stesso, ha avuto la forza di fare scudo intorno a noi riuscendo a evitare, per quanto possibile, che la tensione condizionasse il clima tra le mura di casa e la nostra vita di tutti i giorni. Ha continuato a essere un marito e un padre presente, ad accompagnare noi figli nel nostro cammino aiutandoci a stare sulle nostre gambe, e non ha mai rinunciato, malgrado i suoi ritmi lavorativi frenetici, neanche a quei piccoli gesti quotidiani che erano quasi un rito, come il prepararci il caffè ogni mattina, e come quel bacio sulla fronte che mi dava sempre al risveglio. Chiaro che a un certo punto la percezione di quanto lui fosse a rischio diventò per noi inevitabile. Gli avevano assegnato la scorta, e le minacce nei suoi confronti erano iniziate ad arrivare anche sul telefono di casa. Lui però ha sempre pensato a tranquillizzarci e, quando era a casa, cercava sempre di rispondere direttamente alle telefonate per evitare che noi potessimo sentire. Si prendeva cura di noi, ci dava sicurezza e ci proteggeva, voleva che la nostra vita andasse avanti normalmente”.

  1. L’eredità morale più importante che le ha lasciato suo papà.

“Dal senso della legalità e della giustizia alla dedizione alla famiglia, un grande patrimonio di valori, quello che ci ha resi persone solide, capaci di andare avanti, di andare oltre la tragedia che ha investito la nostra famiglia. E poi, tra i tanti insegnamenti, quello di  nutrire, coltivare e realizzare quotidianamente quei valori. Di mantenerli sempre al centro, nella famiglia come nel lavoro. Questo ha molto a che fare sia con la madre che sono diventata, sia con il mio impegno al servizio delle istituzioni. E non è certo un caso che io abbia scelto di fare il magistrato, uno dei tre mestieri con la m che mio padre definiva i più belli. Gli altri due sono il medico e il maestro. E c’è un’altra cosa: la cultura del lavoro, quella che per lui era una religione”.

  1. Cosa sente di dire ai giovani per demolire quello che è il “mito” della mafia insito nelle coscienze, ancora, di molti?

“Forse per prima cosa ai giovani direi che scegliere la strada della criminalità vuol dire vivere nell’oscurità, perdere la propria libertà. E poi direi ciò che mio padre diceva ai giovani quando andava nelle scuole per parlare alle loro coscienze: che bisogna ragionare con la propria testa, non cedendo davanti all’illusione di facili utilità, e che ciascuno, col proprio comportamento, può contribuire a costruire da protagonista una società migliore, basata sui valori sani. In realtà è quello che faccio, perché abbastanza spesso vado anche io nelle scuole per dialogare con i ragazzi sul libro nel quale ho raccontato la storia di mio papà. Quella mafiosa purtroppo è una controcultura: parlare alle coscienze è fondamentale anche per aiutare i giovani che crescono in contesti difficili a vedere un’alternativa, a credere in se stessi e nella possibilità di realizzarsi coltivando un talento. Da questo punto di vista credo che oltre alla testimonianza dell’esempio sia fondamentale l’istruzione, a mio avviso la chiave per combattere le situazioni di marginalità e di disagio sociale in cui la criminalità mette spesso radici e per dare a tutti la chance reale di fare una scelta diversa, di costruire un percorso di vita ancorato alla legalità”.

Nel ringraziare ancora l’on. Chinnici per la sua disponibilità e gentilezza nel rispondere alle nostre domande, si vuole continuare il lavoro di Rocco Chinnici e di quanti, come lui, hanno combattuto e continuano a combattere, VERAMENTE, le mafie, si vuole mettere in atto il suggerimento che il giudice ci ha lasciato per fronteggiare e sconfiggere le mafie:“Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi […]. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai“. Sdebitiamoci con coloro i quali hanno dato la loro vita per un mondo migliore. E, a quelli che continuano ad accettare i pericoli che il mestiere comporta, aiutiamoli ad aiutarci: con la verità, la parola, il rifiuto di ogni compromesso morale, con una vera e propria rivoluzione culturale.

Federica Giovinco