Brigantaggio, una pagina da valutare anche nei nostri territori

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La riflessione sul tema del brigantaggio del professore Rosalbino Turco stimola la curiosità e l’interesse su un tema spesso sottovalutato da storici e critici a varia natura. Così pubblichiamo volentieri una riflessione


Ogni tanto tossisco qualcosa che sa di storie vecchie. Di questo vi chiedo venia, ma vi ringrazio per l’attenzione che mi riservate.
Di contadini saggi, giovani ribelli, case diroccate e palazzi ne è piena la storia, da queste parti. Pagine acute le ha scritte, Vincenzo Padula il prete di Acri. Patriota e scrittore fra i più importanti del Romanticismo calabrese.

Intellettuale a tutto tondo che intrecciava i dolori della minuta gente con testi di lirica assoluta. Raccontava di tanti diventati briganti per fame e non per natura o peggio per la forma del loro cranio.

Cesare Lombroso, a differenza di Padula, ne aveva altro convincimento. Erano “criminali per nascita”, tanto da farne dei ritratti per manuali di medicina.

Il brigantaggio è storia complessa, dentro una terra fatta a stracci dalla miseria e dalla mancanza. Di pari passo gli ideali liberali nutrivano le giovani menti che frequentavano il Collegio di San Demetrio Corone, dai Borbone definito “fucina di diavoli”, il Seminario di Bisignano e quello di San Marco Argentano.

Eccellenti luoghi di cultura dove i giovani si riunivano e discutevano di poesia e letteratura, attorniati a maestri di indiscusso spessore.

Ad Acri, i fratelli Molinari facevano altrettanto. Tenevano un Istituto che si giovava degli insegnamenti di Francesco Saverio Salfi: «Sono per ogni dove le campagne deserte, infranti gl’aratri, ruinosi i tuguri, avvilite le arti», «migliaia di sudditi e di provincie [… ] muoion di stento» (pp. 184 s.).

Nell’Università di Napoli questi letterati avevano il riferimento più alto per discettare intorno le sorti del mezzogiorno d’Italia.

In quegli anni caldi e rovinosi a Bisignano un appartenente alla famiglia Gallo muovendo un bel gruppo di giovani, per protesta distrusse nella cattedrale tutti i sedili della nobiltà, perché a differenza dei nobili loro non potevano occuparli.

Altri movimenti di rivolta andavano formandosi tra i monti del Pollino, a San Demetrio Corone, nei territori di Santa Sofia d’Epiro e Bisignano.

Su tutti campeggiavano i briganti e gli uomini furiosi di Acri con le armi in pugno volgevano verso la Sila e nella pianura del Crati, per urlare rivalsa in cerca di pane.

Furono momenti sanguinolenti e tristi con morti ammazzati e gente scannata. Fucili e coltelli usati indiscriminatamente su padri e figli innocenti.

“S’arrestano le famiglie dei briganti ed i più lontani congiunti e le madri, le spose le sorelle e le figlie loro servono a saziare la libidine ora di chi comanda, ora di chi esegue quegli arresti. E delle violenze non parlo” scrisse Padula nella tragedia Antonello capo brigante calabrese.

Poi ci fu la legge Pica a imporre la questione come fatto di ordine pubblico e il brigante Firrigno, come tanti altri uomini di Bisignano, ne restarono perseguitati.

Le esecuzioni sommarie continuarono per anni in tutto il mezzogiorno d’Italia, dimenticando volutamente che la questione era sociale, economica e politica.

Antonio Gramsci sull’Avanti del 18 febbraio 1920 “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri, che gli scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”.