Acri tra degrado e confusione

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Risalta non poco il contrasto tra la recente, ennesima, festa del redivivo parlamentare europeo acrese e lo stato di degrado e confusione in cui versa Acri. Quello che contrasta in effetti è la lontananza dall’Europa, vera e non presunta, che questa piccola città, come il resto della Calabria e del sud, dichiara nella sua arretratezza a più livelli.
Oggi dopo un viaggio verso Serricella ho avuto la doppia visione: quasi tutto La Mucone presenta luoghi devastati da abusivismo e palazzoni di sei e più piani costruiti in aree franose, in spregio di regole geologiche, urbanistiche, edilizie, architettoniche/estetiche. E Acri vista dall’altra sponda, e dall’alto, è un ammasso informe di casoni non finiti, affastellati, che si inseguono e si diffondono ovunque. Persino il bellissimo versante di Serra di Buda, fino a pochi anni fa quasi intatto, visto da lontano, presenta i “bubboni” di questa finta modernizzazione che ha immaginato che una così sfrenata attività edilizia potesse diventare un volano economico. Invece è successo esattamente il contrario: il dilagare di case e palazzi (in gran parte disabitati e non venduti) ha sottratto valore alla vera grande ricchezza di Acri – come della Calabria e dell’Italia intera – che è stata e resta, malgrado tutto, il paesaggio, i suoi valori, la sua peculiarità, la sua originalità. Questa insensata attività edificatoria, non si è fermata davanti alle norme dei Piani Regolatori, spesso del tutto inutili, se si guarda il caso in oggetto, o spesso aggirate con la complicità di tecnici pubblici e privati, e neanche si è fermata di fronte alle concrete minacce di possibili eventi sismici, franosi, naturali, pure incombenti e non svaniti. Una attività che ha tolto respiro ad un rapporto bellissimo che Acri aveva con il suo contesto naturale con le sue propaggini boschive e agricole, oggi ormai ridotte a spazi di risulta.

La storia di questo disastro ha radici lontane. Non è certo responsabilità solo di recenti amministrazioni, ma di una cultura sbagliata di politici (purtroppo anche della sinistra) e cittadini che hanno intravisto nel “miracolo edilizio” un possibile e concreto investimento, una opportunità di arricchimento (imprese nate come funghi e sparite in medesimo modo), un “volano” per un inesistente e mai giunto “sviluppo“.
Ma, oggi, queste case sul mercato edilizio, valgono vicino allo zero! Sono sbagliate dal punto di vista energetico, da quello strutturale (i progetti sono in gran parte di “tecnici” incapaci che progettano sempre lo stesso banale modello del telaio di pilastri e travi), urbanistico, distruggono l’intorno e creano “crateri” come dopo le bombe di guerra. Per fare una casa si sbanca mezza montagna o collina, per fare un macro condominio due, tre, quattro colline. Sono quasi tutte case e palazzi precari perché non rispettano mai le regole della morfologia e dunque poggiano su frane, faglie, zone di rispetto idrogeologico, limiti di strade pubbliche. E la soluzione, per espiare colpe vere e presunte, è sempre uguale: costruire enormi, dispendiosi muri di cemento armato a contenimento di sbancamenti folli, di terreni mobili e friabili. Muri che con costi elevati, si sbriciolano al primo piccolo movimento franoso o pioggia prolungata. Per non parlare poi delle strade: costruite non per un disegno di collegamento semplice ed efficace, lineare come nel migliore dei casi, ma ritagliate su quelle parti di spazio libero che rimangono tra una casa e l’altra, e complicate già dalla difficile orografia. Follia pura: questo modello, di cui è piena Acri e l’intero sud Italia è un affronto alla natura, al saper costruire con antiche e buone regole di edificazione, che qui sono sopravvissute fino ai primi del secolo scorso; un affronto alla bellezza dei paesaggi, snaturati e umiliati da tanta volgarità. Un anacronismo ai tempi di una grande crisi che chiede di rivedere tutto, soprattutto i modelli di sviluppo malati.

Una delle possibili vie di uscita da questo disastro è fermare immediatamente il processo assurdo di espansione senza limiti, adottare criteri molto restrittivi, che invece di dare spazio ad altre costruzioni diano luogo ad un ampio processo di rigenerazione e riqualificazione edilizia e urbanistica, anche attraverso incentivi che premino la qualità sulla quantità. La reale messa in sicurezza di centinaia di abitazioni ed edifici, la riconversione energetica, e perchè no, in casi estremi di difficile soluzione e precarietà, anche la demolizione. Il Ministro Passera, ne ha parlato a Milano, usando, ancora una volta il termine “rottamazione“.
Questo è anche uno dei modi per uscire dalla crisi del settore, per dare più senso allo spazio pubblico (ad Acri se si eccettua piazza Annunziata, il resto dello spazio pubblico è inesistente: spiazzi asfaltati, abbandonati o sistemati alla meno peggio) al valore collettivo della città che non è solo il dentro e intorno la propria casa, ma tutto l’insieme di spazi aperti, strade, marciapiedi, slarghi che la compongono.
Questa serie di eventi, che definire drammatici non è esagerato affatto, ha basi profonde e malate in un degrado culturale, sociale, politico, economico che ha investito ormai da decenni la società acrese, come il resto del sud, e che non vede vie di uscita senza grandi visioni e progetti di sviluppo, coerenti con la vera natura dei luoghi. La politica, le amministrazioni pubbliche in generale non sono state capaci di costruire un modello alternativo, hanno assecondato, per meri interessi elettorali, questo incredibile andazzo.
Vivi e lascia vivere” è stato il motto – e resta- che ha dominato e domina ogni possibile critica o discussione intorno a questi ed altri argomenti di dominio pubblico.
Occorrono progetti quindi, che non siano banalità del tipo fare un ponte che colleghi Acri a La Mucone, follia pura che darebbe adito ad altre insensate espansioni, oppure un inutile megalomane ascensore per collegare un semplice dislivello, oppure immaginare che i turisti vengano ad Acri solo perchè “c’è aria buona e cibo autentico” ( ma non è più vero nemmeno cio). Progetti significa almeno guardare oltre il confine della Calabria, poi della nazione e puntare all’Europa, ma sul serio e non perchè un signor nessuno di turno ne propugni una qualsiasi rappresentanza, promettendo opere faraoniche quando i soldi sono finiti e le risorse scarse (tutte) indicano altre vie.

Acri non è più nemmeno una Stazione Climatica, non produce più i buoni salumi decantati dal Melzi, non è piu una oasi di serenità e benessere, non è più un amena cittadina tra colli e montagne, Acri, semplicemente non è più nulla: come tanti altri luoghi simili della Calabria è un accumulo di case, di conflitti sociali irrisolti, isolato dai grandi e piccoli transiti di merci e persone, depauperato nelle sue origini antropologiche e culturali, sfinito da personalismi e inesistente coesione sociale, umiliato da una classe politica, da anni, incapace di qualsiasi progetto di respiro che non sia emergenza e quotidianità.
E non è più vero nemmeno che vi sia la famosa “aria bona“: le strade sono intasate di automobili, una quantità assurda, dove in ognuna si trova solo un guidatore, il modo dei parcheggi è tra i piú selvaggi che esistano, smog e polveri sottili in quantità da grandi città, e nei ristoranti (tranne pochi) ormai si scimmiottano i sapori internazionali, piuttosto che proporre sani e veri sapori della tradizione. Un ultimo dato di sradicamento culturale è proprio l’assurdo proliferare dei nomi di locali: esempio, su dieci nove hanno nomi stranieri che nulla hanno a che vedere con radici e storie di questa realtà.

Alla denuncia, scritta per amore vero di queste realtà, ancora potenzialmente salvabili, deve seguire una possibile via d’uscita. Questo testo è una esortazione a quella parte civile, colta, sensibile di Acri, e del sud diffusamente, che chiede, e non spera soltanto, un reale cambiamento. Occorre insistere, persistere, resistere -forte anche dello scambio di idee e del confronto con i molti acresi che vivono in altre città e che l’estate ripopolano case e piazze, di un gruppo di giovani che alza la testa per dire che è ora di cambiare, di associazioni ambientaliste che da tempo invocano un cambio di rotta locale e nazionale, dell’esperienza personale maturata in anni di studi e ricerche in centri universitari di eccellenza- è necessario indicare nuove rotte, anche sulla scorta di altre esperienze consolidate, che dimostrano che sono possibili inversioni di rotta positive. Resistenza, culturale e civile, necessaria e fondamentale per continuare ad amare, tutelare e valorizzare un patrimonio, umano, fisico e culturale, in pericolo e in declino.

Architetto Giuseppe (Pino) Scaglione – Professore presso Facoltà di Ingegneria di Trento
Fonte: Acrinrete.info