Oltrepassata quella porta il malato incontra la morte

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Quando vi rivolgete ad un medico che vi opererà o vi curerà dovete pretendere spiegazioni, chiarezza, semplicità (è vostro diritto e suo dovere). In cambio voi gli darete la vostra completa fiducia. La regola vale ancor di più quando un paziente viene ricoverato d’urgenza in pronto soccorso e sottoposto a un intervento immediato. In quest’ultimo caso uno dei familiari prima che il paziente oltrepassi la porta della sala operatoria dovrà pretendere di sapere tutto quello che succederà durante l’intervento chirurgico (la tecnica, i tempi, i rischi, gli scopi).

Affrontare un intervento chirurgico da parte del medico è un atto molto impegnativo e lo è altrettanto se si richiede un’operazione urgente per salvare la vita dell’infermo. Non si opera mai alla cieca. Un chirurgo che deve effettuare un intervento sa già cosa deve fare anche in momenti di estrema urgenza.

Le cose però non appaiono sempre così scontate. In effetti, una delle conseguenze di accidenti durante la diagnosi (prima) e l’operazione chirurgica (dopo) riguarda il decesso dei pazienti.

Una delle principali situazioni che contribuiscono alla sciagurata morte di soggetti infermi è la congestione delle strutture atte alla salvaguardia della salute.

Ciò che in questi giorni sta avvenendo nel nosocomio dell’Annunziata di Cosenza (fonti riportate da gran parte della stampa locale) è un chiarissimo monito. Nonostante l’impegno di professionalità mediche non si riesce a gestire la macchina sanitaria e pertanto si assiste ad un generale ingorgo del pronto soccorso con conseguenze irreversibili sulla salute dei pazienti ricoverati. L’effetto che ne consegue è il fatto che i turni estenuanti a cui sono sottoposti i pochi medici disponibili finiscono per mettere a dura prova la loro stessa concentrazione e in conclusione  il conseguente buon risultato terapeutico per il paziente.

A tal proposito è opportuno riportare il caso di una signora giunta qualche giorno fa al pronto soccorso dell’Annunziata di Cosenza. Alla degente (proveniente da una clinica del cosentino ove era stata ricoverata per l’abilitazione dopo un intervento alla valvola mitralica in una struttura specializzata del catanzarese) era stata diagnosticata un’emorragia interna soltanto dopo alcuni giorni di osservazione in pronto soccorso e successivamente operata d’urgenza quando ormai i parametri vitali risultavano essere seriamente compromessi. Dopo l’evento scandaloso e l’avvenuta operazione di chirurgia vascolare la paziente si era parzialmente ripresa. Solamente pochi giorni dopo il suddetto delicato intervento chirurgico la stessa veniva dimessa precocemente dal nosocomio e mandata a casa.

Da premettere che la malcapitata (al momento della messa in uscita dal reparto di chirurgia dell’ospedale dell’Annunziata di Cosenza) riportava una ferita longitudinale (con punti di sutura) che dal torace arrivava fino al basso ventre (ferita ancora viva e sofferente) con buchi di drenaggio laterali aperti. Inoltre aveva pallore i volto, con pressione sanguigna bassa e con scarse capacità di alimentarsi mediante cibi solidi.

Dopo alcuni giorni di sofferenza nel proprio letto di casa senza monitoraggio cardiaco e macchina compressore per l’alimentazione (strumenti di controllo vitali  in dotazione soltanto agli ospedali) la paziente è stata nuovamente accolta al pronto soccorso dell’Annunziata con una successiva diagnosi di infarto addominale e conseguente intervento d’urgenza per minaccia di cancrena. Oggi, dopo l’ennesimo intervento chirurgico necessario per l’asportazione della milza (a causa di un’altra emorragia interna) la paziente è entrata definitivamente in uno stato di coma vegetale.

Oltre quella porta non è dato sapere e soprattutto non è consigliabile entrarvi, specie in un momento di disorganizzazione generale in cui versa il nosocomio di Cosenza. Infatti, il paziente è addormentato poiché attende di essere operato mentre i suoi familiari sono costretti a rimanere in attesa nell’ingresso. Di tutto ciò che avviene durante le varie fasi operative (dalla diagnosi all’operazione) nessuno è tenuto a sapere nulla al di là del chirurgo, dell’anestesista e del resto dell’equipe (almeno fino a operazione conclusa) inteso che vi sia la firma di un familiare a rispondere nel caso che qualcosa andasse storto.

 

28/01/2013                                                                                                Alberto De Luca