Roberto Baggio, i 50 anni del divin codino

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Mandatory Credit: Rick Stewart /Allsport

Gli piace che si parli di lui come di una persona coerente con se stessa, e anche con la sua religione, il buddismo. Secondo la quale, ripete spesso, “tutto ciò che ti capita, è colpa o merito tuo”.

Quando infiammava gli stadi, le polemiche, le discussioni da bar. Roberto Baggio da Caldogno, classe 1967, spegne le candeline il 18 febbraio. Una carriera piena di soddisfazioni ma anche di delusioni, a volte immeritate. Come il Pallone d’oro, che lo piazzò al vertice della graduatoria mondiale, il rigore sbagliato a Pasadena, che lo fece precipitare nel sottoscala azzurro, gli altari meritati portando, con i suoi gol, la squadra azzurra alla finale dopo aver dato del “matto” a Sacchi che contro la Norvegia lo aveva sostituito.

 

 

Baggio è stato il giocatore che tutti hanno voluto (Fiorentina, Juve, Milan, Bologna, Inter, Brescia) e molti hanno poi lasciato andare senza rimpianti. Duecentodiciotto reti in serie A, ventisette in Nazionale, capace di far scoppiare discussioni interminabili: punta o trequartista? Proprio questo dubbio fu sfruttato per metterlo da parte. Platini lo definì “un nove e mezzo”.

Per Carletto Mazzone, che lo ha allenato, è stato il fantasista numero uno, superiore a Meazza e Boniperti in Italia e fra i primissimi subito dopo Maradona, Pelè e forse Cruyff. “Senza i problemi alle ginocchia sarebbe stato il numero uno al mondo” ha detto il tecnico, che lo ha avuto a Bologna e Brescia.